Ad una menzogna, a forza di ripeterla, finisci col crederci. Da settembre dell’anno scorso, quando Giorgia Meloni ha vinto le elezioni, il ritornello più cantato a sinistra suona più o meno così: la leader di FdI è una femmina, ma non è femminista. Quindi il suo aver infranto il vetro di cristallo per salire a Palazzo Chigi non vale. Le donne devono ripartire dal via, in attesa che il Pd riesca finalmente a vincere le elezioni per portare Elly Schlein nella stanza dei bottoni.
La sciocchezza, dicevamo, l’hanno ripetuta così tante volte da Michela Murgia in giù che alla fine gran parte delle femministe hanno finito con l’abboccare all’amo. Se ne è avuta la dimostrazione durante la manifestazione di sabato scorso a Roma, dove Non una di meno è scesa in piazza per protestare nel più classico dei minestroni ideologici dei collettivi. Urlavano per Giulia Cecchettin, barbaremente uccisa da Filippo Turetta, ma anche contro il governo, contro la Regione Lazio, contro Israele, contro il patriarcato, contro il Ponte sullo Stretto di Messina e i Pro Vita. A cui, per non sbagliare, hanno pure sfasciato la sede. Bomba molotov in regalo inclusa.
Molto si è detto di quel corteo. Sicuramente le centinaia di migliaia di persone in piazza, richiamate anche dall’impatto mediatico del caso Giulia, sono state un successo. Ma basta la forma a garantire anche per la sostanza? Non una di meno si schiera a difesa delle donne ma fa ampio uso della schwa, simbolo di chi la differenza tra maschile e femminile vuole abolirla. Non una di meno è contro gli abusi, ma non ha speso neppure una parola per le ebree stuprate dai miliziani di Hamas. Non una di meno elargisce lezioni di democrazia, ma non si fa problemi a premeditare un assalto contro chi legittimamente la pensa in maniera diversa. E non è tutto.
Gli inviati di Quarta Repubblica sono andati a porre alcune domande alle partecipanti al corteo e dal servizio emerge una conferma del pregiudizio da cui erano mosse. Premessa: una delle giornaliste (una donna, per precisare) è pure stata presa a male parole dalle manifestanti, nel più tipico dei controsensi: contesti la violenza e ti dimostri violento, sebbene a parole. Sorvoliamo anche sui cori “fasci appesi col reggiseno”, che proprio un inno alla pace non sembra esserlo, così come sulla definizione di “feccia” riservata a Eugenia Roccella (pure lei, una donna). A chi chiedeva loro se Giorgia Meloni guida un governo “patriarcale”, Non una di meno risponde senza indugi: “Assolutamente sì – dice una ragazza – la presidente si reputa femminista ma poi fa i tagli ai centri antiviolenza e i consultori”. Le fa eco un’altra manifestante: “Una presidente che si identifica come ‘il presidente’ di donna ha ben poco”. Ben poco. “È una donna che è arrivata al potere ma non è una donna per le donne”. E ci credono davvero.