L’estensione della tregua tra Israele e Hamas è sicuramente una buona notizia: dopo settimane di ostilità, in cui hanno perso la vita migliaia di persone da ambo le parti, la priorità deve essere di terminare il conflitto armato e indirizzare la questione – che rimane ancora molto delicata e complessa – verso una soluzione politica che parta dal rispetto del principio «due popoli, due Stati». Come arrivarci? La strada non è affatto semplice, ma a mio avviso questo percorso consta di tre fasi.
La prima, come già detto, consiste nel far cessare le ostilità sul terreno in maniera continua nel tempo. Israele ha già ottenuto buona parte dei propri obiettivi militari, smantellando la rete di infrastrutture di Hamas ed eliminando un alto numero di affiliati al partito terrorista. Ora si tratta di garantire l’enforcement della tregua, facendo leva sulla netta superiorità militare di Tel Aviv e pretendendo il rispetto delle condizioni tra le due parti che portino allo scambio completo degli ostaggi catturati dai palestinesi il 7 ottobre scorso.
La pressione esterna degli Usa sul governo di Netanyahu, impopolare in patria e indebolito a destra dalle frange più estremiste, non deve allentarsi ma al contrario esigere dal proprio principale alleato in Medio Oriente il mantenimento del ricorso alla moderazione e un uso della forza sempre più mirato. La seconda fase, decisamente più complicata, dovrebbe consistere nell’eliminazione completa di Hamas. Per fare ciò, occorre innanzitutto la collaborazione della popolazione di Gaza, alla quale occorrerebbe far comprendere che la pace non rientra tra gli scopi di Hamas e che dunque consentirgli di rimanere al potere nella Striscia andrebbe contro le legittime aspirazioni del popolo palestinese.
Ancora più decisiva, a questo scopo, dovrebbe essere un’intensa azione diplomatica con gli altri Paesi musulmani della regione affinché cessino di fornire sostegno a Hamas: a cominciare dal Libano con Hezbollah e l’Iran, continuando poi con il Qatar che in questi anni ha fornito ospitalità ai vertici in esilio del partito islamico. Gli accordi di Abramo, siglati durante la presidenza Trump, potrebbero fornire una piattaforma appropriata per perseguire questo scopo da estendere al resto della regione, anche se occorre avere pazienza e perseveranza. L’ultima fase, alla quale certamente non si potrà pervenire in tempi rapidi, resta quella della definizione di due Stati autono.