“Lo scambio totale di prigionieri”. Usa, Egitto e Qatar: il piano per la pace

"Lo scambio totale di prigionieri". Usa, Egitto e Qatar: il piano per la pace

Mentre a Gaza le armi tacciono, fatta eccezione per delle scaramucce a Nord della Striscia, la bomba giornalistica la sgancia il Wall Street Journal. Fonti di Qatar e Egitto, i due principali mediatori dell’accordo per lo scambio di ostaggi e prigionieri tra Hamas e Israele, riferiscono delle forti pressioni che vengono esercitate in queste ore su entrambe le parti, per un cessate il fuoco a lungo termine. Una tregua che dovrebbe estendersi oltre l’attuale scadenza, per avviare colloqui che mettano fine alla guerra. Si tratta di uno scenario, spiegano le fonti, nel quale sia Israele che Hamas dovrebbero concedere molto.

Lo Stato ebraico dovrebbe liberare migliaia di prigionieri palestinesi, in cambio dei propri soldati tenuti in ostaggio nei tunnel della Striscia. Ad Hamas verrebbe anche chiesto di accettare la smilitarizzazione. Altissimo anche il prezzo da pagare per Israele: la rinuncia all’offensiva nel Sud di Gaza e all’obiettivo dichiarato della guerra, l’eliminazione dei capi di Hamas. A conferma che quanto sta avvenendo in queste ore non è solo un esercizio di diplomazia, c’è l’arrivo a Doha del direttore della Cia William Burns, inviato dalla Casa Bianca a trattare con il capo del Mossad David Barnea e la leadership qatariota un’estensione dell’attuale tregua, per ottenere il rilascio di altri ostaggi. È l’ulteriore segnale dell’accerchiamento politico e diplomatico che Washington e gli altri due grandi attori della vicenda, Qatar e Egitto, stanno esercitando su Israele, mentre a Gerusalemme è atteso nuovamente il segretario di Stato Antony Blinken.

Il capo della diplomazia Usa metterà ancora una volta l’accento sul rispetto delle leggi di guerra da parte di Israele, sul rilascio degli ostaggi ancora in mano ad Hamas e sugli aiuti umanitari ai civili di Gaza. Nella tarda serata di lunedì, era stato un alto funzionario dell’Amministrazione Usa, in un briefing al quale ha partecipato anche il Giornale, a riferire delle pressioni esercitate sul gabinetto di guerra di Benjamin Netanyahu, in vista della possibile seconda fase della guerra: «A partire dal presidente Joe Biden, gli Stati Uniti hanno ribadito con linguaggio molto chiaro» che «è molto importante che la condotta della campagna militare, quando si sposterà verso sud, dovrà fare in modo da non produrre un’ulteriore massa di sfollati», ha detto il funzionario, che ha chiesto di mantenere l’anonimato.

Nelle aree centrali e meridionali della Striscia si trovano attualmente circa due milioni di persone. Un ulteriore schiacciamento, sulla spinta dall’avanzata dei militari di Israele, rischierebbe di provocare una catastrofe umanitaria. È per questo che nei primi giorni di guerra era trapelato il piano israeliano di uno spostamento «temporaneo» dei profughi di guerra di Gaza in territorio egiziano. Un’idea alla quale Washington si era subito detta contraria. «Non si può avere al sud la stessa massa di sfollati che c’è stata a nord», ha detto il funzionario Usa, sarebbe «oltre le capacità di qualsiasi sostegno umanitario». Da parte di Israele ci sarebbe stata una risposta «ricettiva», comprendendo che «nel sud andrà condotta una campagna diversa da quella condotta a nord». L’obiettivo, ha precisato il funzionario, rimane quello dell’«eliminazione di Hamas come forza di governo a Gaza e come minaccia per Israele». Ma, il modo in cui la guerra verrà condotta nel sud della Striscia è di «massima importanza».

Nel frattempo, Hamas ritarda il rilascio delle altre due cittadine Usa detenute in ostaggio, che avrebbero dovuto far parte del primo gruppo di 50 prigionieri liberati. Al momento, a ritrovare la libertà è stata solamente la piccola Abigail Edan, di quattro anni, i cui genitori sono stati uccisi negli attacchi del 7 ottobre.

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