Attenti, educare ai sentimenti è il sogno di ogni totalitarismo

Attenti, educare ai sentimenti è il sogno di ogni totalitarismo

Dopo i recenti casi di cronaca nera, soprattutto dopo il caso di Giulia Cecchettin, barbaramente uccisa dal suo ex fidanzato, a sinistra come a destra, qualcuno ha fatto la «scoperta» del secolo: l’educazione è importante. Chi l’avrebbe mai detto. Meno male che esistono gli opinionisti. Fino a qui tutti d’accordo. Ma non appena si passa a definire la parola «educazione» iniziano i distinguo. Tocca innanzi tutto alla famiglia educare la prole. No, la famiglia patriarcale è il problema. Tocca innanzi tutto alla scuola educare. Attraverso la comprensione della bellezza e lo studio della storia, l’allievo riceve una educazione sentimentale indiretta ma potente. Molti istituti (vi diamo una notizia: anche quelli cattolici) prevedono una istruzione specifica in materia sessuale, che aiuta a capire le differenze. No, la scuola rischia di essere espressione del potere bigotto e conservatore.

A sinistra, come a destra, con poche e trascurabili differenze, la formula d’oro è «educare alle emozioni» ovvero «lavorare sull’anima» ovvero «insegnare» cosa siano l’amore, la rabbia, la gelosia e come siano da gestire nel modo corretto. Può essere che questo approccio sia utile e sia realizzato con il massimo del rispetto per gli studenti. Ce lo auguriamo tutti, naturalmente. Però dobbiamo essere consapevoli che voler «lavorare sull’anima» colloca lo studente, la classe, la società su un crinale scosceso e pericoloso.

«Lavorare sull’anima» è sempre stato il grande sogno, per fortuna mai realizzato, dei totalitarismi del XX secolo. «Lavorare sull’anima» significa creare le condizioni per un controllo così totale da poter fare a meno della violenza. Non c’è riuscito nessuno. Il fascismo poteva darti una manganellata se non obbedivi a un ordine; il comunismo e il nazismo potevano farti fucilare o chiudere in un campo di concentramento. Nessuno però poteva entrarti nella testa per «correggere» la rabbia contro le ingiustizie e il desiderio di essere libero.

Per carità, sappiamo bene che gli obiettivi dei nostri educatori dell’anima sono molto limitati, e che nessuno pensa di instaurare una dittatura vera e propria. Però «lavorare sull’anima» può sempre puntare alla dittatura del politicamente corretto, alla soppressione del pensiero non allineato, alla condanna dell’originalità. Si può insomma ottenere un bel gregge pronto a belare ogni volta che ce ne sia bisogno.

L’oppressione-orientamento dei sentimenti è un tema tipico della letteratura distopica e in particolare del classico dei classici in questo ramo: 1984 di George Orwell. Il Grande Fratello reprime non solo ogni gesto ma anche ogni sentimento considerato contrario al sistema. Il partito condanna i cittadini alla solitudine, svuotando di significato istituzioni come la famiglia. La ribellione, allora, non può che essere amore (e sesso). Non un amore generico per l’umanità. Winston, il protagonista, è disposto a uccidere chiunque per essere libero di amare una persona, una donna: Julia. L’amore è rivoluzionario: spinge a uscire dal guscio, rompere i vecchi legami, crearne di nuovi, abbattere il muro della finta virtù, rischiare di essere… felici. È Orwell a indirizzare il lettore verso questa chiave di lettura: «Praticato con soddisfazione, il sesso era un atto di ribellione. Il desiderio era pensierocrimine». L’amore distrugge la tirannia: «Lei si tolse i vestiti con la stessa rapidità con cui lui aveva immaginato che sarebbe accaduto, e li buttò da parte con quel gesto grandioso che diresti capace di spazzar via tutta una civiltà». L’amore come istinto animale, attrazione sessuale avrebbe «polverizzato il Partito». Quando Winston e Julia fanno sesso per la prima volta, lui si accorge di aver varcato una soglia: «Il loro abbraccio era stato una battaglia, l’orgasmo una vittoria. Un attacco al Partito. Un atto politico». D’altronde, l’amore era la via di fuga anche del protagonista di Noi, il capolavoro di Evgenij Zamjátin, altro romanzo distopico che condanna il socialismo sovietico, e fonte di Orwell stesso.

L’amore no, la rabbia sì. In 1984, i cittadini sono «educati» all’odio per il traditore Emmanuel Goldstein. I due minuti d’odio sono una pratica collettiva. I lavoratori si riuniscono davanti a un teleschermo per vedere immagini del nemico supremo della patria Oceania. La visione è accompagnata da musica, rumori, sequenze di guerra che devono «lavorare con l’anima» degli spettatori.

Cambiamo completamente genere. Pier Paolo Pasolini, col passare degli anni, si era convinto che fosse in arrivo qualcosa di peggio rispetto alla rinascita del fascismo perennemente evocata a sinistra. Più volte, negli articoli e nelle interviste poi pubblicate col titolo Scritti corsari, ma anche nel romanzo incompiuto Petrolio, Pasolini descrive con chiarezza il nuovo regime in arrivo. Non avrà bisogno della violenza perché fondato sulla persuasione o meglio sulla colonizzazione della nostra fantasia e dei nostri desideri. La persuasione si otterrà attraverso gli strumenti della società dei consumi: i mass media e la pubblicità, ad esempio. L’obiettivo è l’omologazione e la eliminazione di ogni diversità politica e sessuale. Il capitalismo delle grandi fusioni ha bisogno di un mercato efficace e rapido. Avere un solo tipo di cliente è una opportunità da cogliere. Il capitalismo è veloce, e travolgerà tutto ciò che è vecchio e tradizionale, a partire dalla famiglia e dalla Chiesa.

Ci siamo allontanati forse troppo? Crediamo di no. Torniamo comunque alla educazione e in particolare alla scuola. Ai molti riformatori di quest’ultima possiamo senz’altro imputare di aver ridotto l’insegnamento a corsi superficiali e alla divulgazione di stereotipi alla moda, abbandonando parallelamente ogni pretesa di affrontare problemi ostici dal punto di vista storico o morale. Se la scuola ha un difetto, è proprio quello di essere tarata sulla limitata esperienza di vita e di idee degli studenti, offrendo uno spazio esagerato alle opinioni e ai sentimenti personali.

Compito dell’istruzione è spingere a misurarsi con ciò che eccede la nostra visione inevitabilmente limitata. Invece i diciottenni sono convinti di essere la misura di tutte le cose, nei casi patologici persino della vita e della morte altrui. Che sarebbe finita così, dopo il liberi tutti del Sessantotto, Robert Hughes lo aveva intuito decenni fa, e scritto nel famoso saggio La cultura del piagnisteo.

Lavorate con l’anima ma state attenti, per favore, a non superare il limite.

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