Una storia esemplare, che forse può aiutare le altre donne vittime di violenza. È quella di Alessandra Accardo, agente di polizia aggredita, picchiata e stuprata la notte tra il 19 e il 20 ottobre 2022, dopo che aveva finito il turno e stava per salire sulla sua auto parcheggiata al porto di Napoli. Il responsabile, un immigrato bengalese, è già stato condannato in primo grado e adesso si trova in carcere.
Le violenze e lo stupro
In quella notte terribile, la poliziotta ha incontrato la “furia“, non solo la violenza che lo stupro comporta. “Io non sentivo dolore. Lui aveva trovato una pietra per terra e con quella mi ha colpita forte non so quante volte. Mi ha staccato un’unghia a forza di sassate contro le mani. Mi ha colpito in testa. Mi ha dato un morso sulla guancia. Mi sbatteva la testa per terra e mi tirava i capelli così forte che ne ho persi ciocche intere”, ha raccontato la Accardo al Corriere della Sera. Un’intervista, quella raccolta dalla giornalista Giusi Fasano, che mette i brividi a leggerla perché fa rivivere tutti i momenti dell’orrore e delle violenze subite dalla Accardo.
In quei momenti di estrema violenza, vissuti un anno fa al porto di Napoli, la poliziotta aveva consapevolezza di tutti i danni che la violenza del bengalese stava comportando al suo corpo. Ma non riusciva comunque a reagire. “Sanguinavo dal volto, da un orecchio, dalle ginocchia lacerate perché mi ha trascinata dietro un gabbiotto”, ha raccontato nell’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera. “Ma io – ha poi continuato – volevo sopravvivere e, giuro, non sentivo niente. Nessun dolore. Pensavo soltanto a come respirare perché mi stava strangolando”.
L’aiuto di un camionista
Alla consapevolezza è seguita l’incredulità, perché la violenza che stava subendo le è parsa essere non semplicemente funzionale allo stupro: “A un certo punto ho visto tutto nero, stavo soffocando. Nei pochi istanti che ha allentato la presa gli ho detto con un filo di voce: se mi vuoi violentare perché mi stai ammazzando?“. Ma il bengalese che le era addosso si comportava come una furia. Anzi, era una furia. “Non gli importava niente di me”, ci ha tenuto a precisare Alessandra.
La notte della violenza, però, è stata per Accardo anche la notte in cui nonostante l’orrore ha incontrato umanità: l’umanità di un camionista che l’ha soccorsa. La poliziotta infatti, dopo aver urlato, si è rialzata e, pistola d’ordinanza alla mano, ha bussato al finestrino di un lavoratore della strada che non poteva credere ai suoi occhi. “Ha bussato al finestrino e impugnava l’arma. Io dormivo…“, ha raccontato successivamente l’uomo in una intervsita rilasciata al Corriere del Mezzogiorno nei giorni successivi alla violenza sessuale subita a Napoli. “Ho pensato quasi che volesse rapinarmi. Poi – ha continuato nel racconto – ho capito che chiedeva aiuto indicandomi un uomo che scappava mi ha detto che l’aveva violentata e che stava per ucciderla”. E così è subito intervenuto a soccorrerla.
La forza di andare avanti
Ora la Accardo ha fatto del coraggio la sua caratteristica più evidente. Ma quella notte la paura era presente, e non solo per se stessa: “Ero convinta che sarei morta lì e allora ho pensato a mia madre e a mio padre, pensavo che non meritavano di trovarmi così – ha raccontato l’agente nell’intervista al Corriere della Sera – ho provato un dispiacere così profondo davanti a quel pensiero… nessun genitore merita di trovare la propria figlia in quelle condizioni“. La poliziotta ha spiegato che il suo aggressore era appostato a vari metri di distanza: l’ha visto correre e all’inizio non ha percepito il pericolo, pensando fosse un collega: “Ricordo il suo gesto: si è messo l’indice davanti alla bocca e mi ha detto ‘zitta’. E poi tutto il resto… Lo hanno catturato i colleghi poche ore dopo. Un bengalese”. L’aggressore è stato condannato in primo grado per violenza sessuale e tentato omicidio: la pena comminata è quattordici anni di reclusione.
E intanto Accardo, nonostante le cicatrici, nonostante aver provato per giorni la sgradevole sensazione di sentire ancora addosso sporco, rametti e “la puzza di lui”, continua a illustrare la sua storia, affinché possa essere d’aiuto alle altre sopravvissute alla violenza e agli stupri, per incoraggiare le altre persone. Il suo desiderio è che altre donne possano riuscire a identificarsi, a trovare la forza di sopravvivere come ha fatto lei. Accardo continua ad arrabbiarsi per le notizie sui femminicidi, perché anche la violenza subita da altre la avverte come “amplificata“.
La commozione dei colleghi
La sua vicenda continua a suscitare commozione e riprovazione per la violenza subita – un esempio sono i colleghi del Siulp, il sindacato di polizia, ma anche il giudice e gli altri presenti al processo, tutti sul punto di piangere – ma la sua forza è encomiabile. Già all’indomani della violenza si erano levate le voci del questore, della presidenza dell’autorità portuale e degli stessi sindacati di polizia. “Siamo giunti a un punto di non ritorno, le parole non bastano più. C’è bisogno di un piano strategico e sinergico tra tutte le istituzioni per debellare questo fenomeno criminale“, aveva infatti dichiarato a ottobre 2022 il segretario generale Silp Cgil Napoli Angelo Esposito.
Quella di Accardo è stata la forza della sopravvivenza. “Ho fatto il possibile per respirare e lui, avuto quello che voleva, se n’è andato. Mi ha detto: ‘vaff…, ora me ne vado io e poi tu’. Mi sono presa anche il vaffa dallo stupratore… Ma la differenza fra me e lui è che io ora vivo e, appunto, sono felice. Lui non credo proprio”, ha concluso la poliziotta nella sua intervista con il Corriere della Sera. Accardo oggi ha ripreso in mano la sua vita: il lavoro, una relazione, gli hobby, e soprattutto la sua testimonianza in giro per l’Italia, per aiutare quante più donne e famiglie possibile.