Dopo 11 ore di camera, c’è un verdetto: colpevole.
I giurati del processo a Donald Trump, per il secondo giorno consecutivo hanno continuato l’esame dei trentaquattro capi d’accusa contestati al tycoon. La giuria popolare aveva cominciato ieri l’analisi del caso con una seduta conclusa nel pomeriggio e ripresa stamani e che è andata avanti per tutto il giorno. Trump è accusato di aver manomesso documenti fiscali e finanziari per nascondere il pagamento messo in atto per comprare il silenzio di una pornostar, Stormy Daniels, che nel 2016, in piena campagna presidenziale, aveva minacciato di rivelare di aver fatto sesso con lui anni prima. I dodici giurati dovevano trovare l’unanimità, sia in caso di colpevolezza sia in caso di assoluzione, per ognuno dei trentaquattro capi di reato. Per questo tutti erano pronti a scommettere che ci sarebbero voluti giorni, se non settimane.
Prima di riprendete le deliberazioni, la giuria era è stata convocata in aula dal giudice Juan Merchan per la rilettura delle istruzioni e di alcune parti delle testimonianze avvenute durante la fase dibattimentale, come richiesto ieri dalla stessa giuria. Ieri, i giurati si erano riuniti per circa quattro ore e mezza. Per oggi, il giudice Merchan aveva dato istruzioni affinché la camera di consiglio potesse durare fino alle 18 (la mezzanotte in Italia), rispetto al termine standard delle 16.30.
Fondamentale in questi ultimi giorni, la testimonianza dell’avvocato tuttofare del magnate Micheal Cohen. Questi, oltre alla principale vicenda in questione, si era rivelato un faccendiere multitasking pronto a porre riparo ai guai del suo datore di lavoro. Cohen in aula ha rivelato recentemente che il tycoon, prima delle elezioni del 2016, gli chiese di “gestire” potenziali rivelazioni sconvenienti su un presunto “figlio illegittimo” e su un’altra scappatella extra coniugale, con la coniglietta Karen McDougal.
Durante la deposizione del testimone chiave del processo di New York, i procuratori avevano fatto ascoltare ai presenti un audio, registrato da Cohen, in cui si sente Trump parlare della necessità di comprare il silenzio anche circa la storia di McDougal.