I tank di Israele dentro Rafah. Dall’Ue tre “sì” alla Palestina

I tank di Israele dentro Rafah. Dall'Ue tre "sì" alla Palestina

Nonostante l’indignazione mondiale per l’attacco di domenica sera che ha provocato l’incendio di una tendopoli a Rafah, i carri armati israeliani sono entrati nel cuore della città nel sud di Gaza. La mossa di Tel Aviv è destinata ad attirare nuove condanne, dopo quelle provocate dalle scene scioccanti dei cadaveri carbonizzati e dei bambini feriti in seguito al raid dove 45 profughi palestinesi sono morti e centinaia colpiti da schegge e rimasti ustionati. Immagini davanti alle quali il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha detto di avere «il cuore a pezzi». «Non esiste un posto sicuro a Gaza. Questo orrore deve finire», ha tuonato il leader del Palazzo di Vetro, condannando «con la massima fermezza» l’attacco israeliano e ribadendo il suo appello per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi.

Ieri sera il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per consultazioni di emergenza a porte chiuse per discutere la situazione. Unrwa ha fatto sapere che circa un milione di persone sono fuggite da Rafah nelle ultime tre settimane. Dal Pentagono, la portavoce Sabrina Singh ha riferito tuttavia che l’amministrazione Usa considera ancora l’attività dell’esercito israeliano «un’operazione limitata», dunque non una violazione della «linea rossa» suggerita da Joe Biden, il quale all’inizio di maggio aveva minacciato di sospendere la consegna di alcune armi offensive americane se Israele avesse lanciato una vasta operazione a Rafah entrando nel centro abitato, dove ora – secondo fonti palestinesi – ci sarebbero i tank dello Stato ebraico. «L’assistenza alla sicurezza continua a fluire», ha spiegato la Difesa americana. Secondo Abc News, Washington è stata informata dall’alleato sulla possibilità che una scheggia abbia dato fuoco a un serbatoio di benzina a 100 metri di distanza da una tenda di sfollati provocando così l’incendio a Rafah. Ora l’amministrazione Biden starebbe valutando le cause del fatto ed è in attesa delle indagini di Tel Aviv. Il portavoce militare israeliano Daniel Hagari ha spiegato che sono state «munizioni o qualche altra sostanza combustibile di cui l’Idf non era a conoscenza» a causare «un’esplosione secondaria e un incendio in un complesso abitativo» che si trova «a più di un chilometro dalla zona umanitaria di al Mawasi».

Intanto, mentre Israele presenta una nuova proposta d’intesa su tregua e ostaggi, Spagna, Irlanda e Norvegia hanno formalizzato ieri il riconoscimento dello Stato palestinese, portando a oltre 140 (su 193) i Paesi membri dell’Onu che sostengono tale posizione. La quota potrebbe salire visto che la Slovenia annuncerà domani la decisione sul riconoscimento, che in Francia invece arriverà «al momento giusto», senza lasciarsi andare «all’emozione», – fa sapere il presidente Macron.

I ministri degli Esteri dell’Ue si sono impegnati intanto per la prima volta in una discussione «significativa» sulle sanzioni contro Israele se non rispetta il diritto internazionale. Dal Guardian, invece, è emerso che l’ex capo del Mossad, l’intelligence israeliana, avrebbe minacciato l’ex procuratrice della Corte penale internazionale in una serie di incontri segreti negli anni scorsi per cercare di evitare un’indagine sui crimini di guerra. I contatti di Yossi Cohen con l’allora procuratrice della Cpi, Fatou Bensouda, hanno avuto luogo negli anni precedenti la sua decisione di aprire un’indagine su presunti crimini nei territori palestinesi occupati.

L’inchiesta, iniziata nel 2021, è culminata la scorsa settimana nella decisione del successore di Bensouda, Karim Khan, di un mandato di arresto per il premier Netanyahu. Che ieri si è recato al fronte e ha incoraggiato i soldati: «Siete la nostra difesa d’acciaio».

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