Domani un altro interrogatorio cruciale in Procura a Genova, dopo quello del governatore della Liguria Giovanni Toti. I pm sentiranno Paolo Emilio Signorini, l’ex presidente dell’autorità portuale ai domiciliari per corruzione. È stato lo stesso manager, tramite il suo avvocato, a chiedere l’interrogatorio dopo essersi inizialmente avvalso della facoltà di non rispondere per avere il tempo di studiare le carte. È accusato di aver ricevuto soldi e regali, soggiorni in alberghi di lusso a Monte Carlo e fiches per giocare al Casinò da Aldo Spinelli, l’imprenditore della logistica del porto che secondo i pm avrebbe corrotto anche Toti.
Restano un impianto accusatorio complesso basato su migliaia di ore di intercettazioni (che vanno interpretate) e diversi nodi da sciogliere sulle contestazioni, dopo i verbali riempiti dal presidente della Liguria che ha voluto rispondere punto su punto alle domande dei magistrati.
Toti ha ammesso le richieste di finanziamenti a Spinelli ma ha scollegato le erogazioni dai suoi atti amministrativi che sostiene siano stati fatti sempre «nell’interesse della Liguria». Il cuore dell’inchiesta invece sta proprio nel nesso che secondo i pm ci sarebbe tra i 74 mila euro donati da Spinelli con bonifici trasparenti e tracciati ai comitati elettorali di Toti e la proroga trentennale della concessione del Terminal Rinfuse. Il presidente ha spiegato che «era una pratica importante per il porto e quindi era importante definirla subito». Insomma, interesse pubblico e non solo di un privato. Ritardarla «avrebbe provocato una tensione tra gli operatori e avrebbe alimentato polemiche per me politicamente negative». Nessuna pressione avrebbe fatto sul comitato di gestione portuale. Invece secondo i pm il governatore avrebbe cercato di influenzare chi era contrario alla proroga. Eppure ieri Giorgio Cozzani, che era nel board del comitato in rappresentanza del comune, e che per i magistrati avrebbe subito pressioni per votare a favore, in un’intervista al Corriere ha dichiarato di non averne subite.
C’è poi la spiaggia di Punta dell’Olmo che Spinelli avrebbe voluto privatizzare perché proprio di fronte a un complesso immobiliare da lui costruito. Una privatizzazione che non era possibile fare e che era pacifico non si potesse fare, come ha detto già il legale dello Spinelli. Il patron del gruppo continuava a chiedere al governatore se era possibile trovare una soluzione. Toti ha spiegato «la spiaggia in questione è tutt’ora una spiaggia libera, segno che la mia attenzione si limitava al mero interessamento sulle possibilità esperibili per legge per aiutare l’investimento, nel pubblico interesse». Il cuore della difesa di Toti resta la trasparenza dei finanziamenti da parte di Spinelli che lo sosteneva «dal 2015». E l’assenza di un collegamento tra i bonifici e l’interessamento del governatore a pratiche che riguardavano uno dei più grossi imprenditori di Genova.
Poi ci sono i voti della comunità dei riesini, quelli per i quali il suo capo di gabinetto Matteo Cozzani deve rispondere anche dell’accusa di voto di scambio aggravato dall’aver agevolato la mafia. Al centro ci sarebbero i due fratelli Arturo e Maurizio Testa, secondo l’accusa, i referenti della comunità riesina legata al clan Cammarata.
«Sicuramente chiesi espressamente i voti per Ilaria Cavo, parlando con uno dei due Testa – mette a verbale Toti -. Non le erano piaciuti.
Non ricordo invece chi mi abbia parlato di posti di lavoro, anche se era ovvio che i Testa avessero chiesto attenzione per la loro comunità. Erano assillanti e presentavano persone chiedendo se potevamo dare una mano. Di certo non ho mai immaginato un collegamento diretto tra voti e posti di lavoro».