Un interrogatorio fiume per difendersi dalle accuse di corruzione. Giovanni Toti in quasi dieci ore risponde a tutte le almeno 180 domande preparate dai pm di Genova Federico Manotti e Luca Monteverde. Sì difende punto su punto, il presidente, e deposita una memoria a integrazione dell’interrogatorio, per dimostrare che i bonifici – per un totale di 74mila euro – ricevuti dal suo presunto corruttore, l’imprenditore della logistica del porto di Genova Aldo Spinelli, sul conto corrente del suo comitato elettorale “Giovanni Toti”, sono finanziamenti leciti al suo partito, e non mazzette, come sostiene invece l’accusa, in cambio di favori all’imprenditore.
Nella sua memoria rivendica che «aziende e persone fisiche sostenitrici della mia parte politica sono state ascoltate esattamente come soggetti con orientamenti politici diversi. Lo stesso per aziende e persone fisiche che nel tempo hanno contribuito ai comitati elettorali come invece aziende che mai lo hanno fatto». E ricorda la sua impronta politica di governatore del fare, il pragmatismo della sua amministrazione: «Non ho mai fatto pressioni verso alcun soggetto, mai ho servito un interesse particolare in danno di quello collettivo». Semmai, dice i suoi interventi erano orientati a «chiedere una attenzione coerente con le esigenze di rapidità del mercato, o di realizzazione delle opere». Il faro, scrive ai pm, «è stato esclusivamente teso a realizzare un primario interesse pubblico». Quanto alla proroga trentennale della concessione del terminal rinfuse al Gruppo Spinelli che secondo i magistrati sarebbe l’oggetto del presunto do ut des, quel rinnovo era arrivato sul tavolo della Regione dopo il parere degli altri enti competenti. «La durata della concessione fu determinata dagli uffici secondo criteri normativi e operativi». E «il mio intervento fu una semplice opera di mediazione e sollecitazione alla realizzazione di un interesse squisitamente pubblico», precisa Toti. Anche per «consentire nelle more della realizzazione della Diga foranea e degli altri investimenti portuali di continuare a far lavorare il Terminal Rinfuse», visto anche che «nessun altro Gruppo aveva manifestato il proprio interesse alla gestione dello stesso». Il fine ultimo poi era «evitare che guerre commerciali o, peggio, il contenzioso legale tra gruppi rallentassero o peggio bloccassero la vita del porto».
E gli incontri sullo yacht di Spinelli? «Quasi fosse un luogo nascosto e lussuoso di piacere – scrive Tori – . Basta conoscere le abitudini di vita e lavoro di Spinelli per sapere che la barca è da sempre utilizzata come succursale dell’ufficio». Nella concessione tutto è stato fatto «Senza parzialità, senza favoritismi, e senza alcuna connessione con i versamenti fatti (Aponte negli ultimi anni non ha versato nulla eppure molte delle sue richieste vengono tenute in conto anche maggiormente di quelle di Spinelli) e senza alcuna pressione».
Un altro punto della difesa del governatore è spiegare che quei finanziamenti non erano collegati ai suoi atti amministrativi. Cioè «l’assenza di qualsiasi collegamento tra dazioni di denaro e la mia attenzione politica a temi di pubblico interesse.
l’unica ragione del mio agire è stata quella di aiutare l’iniziativa privata per far crescere la Liguria». Per dimostrarlo Toti ha portato ai magistrati un elenco di incontri con «imprenditori incoraggiati e sostenuti a prescindere se facessero parte o meno dei donatori liberali alla attività politica».