Il Senato inizia a votare la maxi-riforma del governo, detta «premierato», e il gioco delle parti appare subito chiaro.
Le opposizioni fanno un serrato ostruzionismo, con migliaia di emendamenti illustrati da decine di senatori, e cercano la drammatizzazione dello scontro. Il presidente del Senato Ignazio La Russa smorza i toni, per non regalare argomenti da campagna elettorale. Avendo ormai rinunciato al primo voto del ddl prima delle Europee, tanto vale «evitare forzature o rese, e lasciarli parlare finchè il regolamento lo prevede. Poi si voterà», chiosa il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri. Il fantasma del «canguro» (il drastico accorpamento di emendamenti per tagliare i tempi di esame) viene evocato a ripetizione dal centrosinistra: sembra quasi un desiderio inconfessabile: «Così potrebbero organizzare meglio la manifestazione antifa del 2 giugno», ironizza in un angolo del Transatlantico il capogruppo Iv Enrico Borghi. Anche per questo La Russa ha deciso per ora di non applicarlo, se non – tra grandi proteste e sventolii di Costituzione – per ristretti gruppi di emendamenti uguali: «Una prassi consolidata», dice.
Per tutta la giornata si discute e si vota (poco) sull’articolo che abolisce i senatori a vita. Il pathos però manca. Manca in aula, figurarsi fuori: il timore che serpeggia nelle file del Pd – il partito che con maggiori vigore vuole impugnare in campagna elettorale il «pericolo autoritario» – è che il terrore del premierato forte non smuova più di tanto le viscere del Paese. E che la grande mobilitazione in difesa della Repubblica in pericolo, annunciata da Elly Schlein proprio per il 2 giugno (suscitando, raccontano le cronache, un certo fastidio al Quirinale) non sia così mobilitante. Un momento di emozione riesce a suscitarlo Dario Franceschini, quando si alza e inizia a scandire nell’improvviso silenzio i nomi illustri dei senatori a vita che la riforma cassa: «Abbado, Bobbio, Einaudi, Montalcini, Paratore, Sturzo… Nomi che fanno sentire la forza della Patria». Anche La Russa si mostra commosso: «Ne ho conosciuti tanti, per l’età che ho. Ricordo un bellissimo incontro con Ferruccio Parri…». Poi ci sono anche momenti da commedia situazionista: l’ex presidente del Senato Marcello Pera chiede sarcastico di sospendere la seduta per «riflettere sull’uomo nero e solo al comando in Uk, mentre Sunak indice le elezioni». Il Pd prova a prendere sul serio la proposta: «Sì, sospendiamo». Ma finisce lì.
Per allungare l’ostruzionismo si usano tecniche molteplici, a volte surreali: il capogruppo grillino Patuanelli chiede di parlare in dissenso dal medesimo gruppo da lui presieduto, annunciando l’astensione su un emendamento da lui medesimo presentato: «Fa parte della democrazia che sapientemente aleggia nel mio gruppo». Sapientemente. «Immagino che ora si dimetterà da capogruppo», infierisce La Russa. Risate in aula. Il suo collega di gruppo Marton ricorda di esser stato seduto vicino a Carlo Rubbia, in aula: «A quanti può capitare di poter parlare con un Nobel per la Fisica?», si emoziona. E chissà che emozione per Rubbia, poter parlare con Marton.
Domani si ricomincia.