A due settimane esatte dalle elezioni Europee del 6-9 giugno, entra nel vivo la sarabanda delle possibili e futuribili alleanze per decidere i nuovi vertici delle istituzioni comunitarie. C’è grande fermento a destra, con le due famiglie europee – i conservatori di Ecr e i sovranisti di Id – che provano ad avvicinarsi. E qualche timore a sinistra, perché l’annunciato calo dei liberali macroniani di Renew Europe può contribuire a spostare ulteriormente a destra un Parlamento Ue già destinato a una brusca virata. Si tratta di equilibri complessi e davvero comprensibili solo a urne aperte, perché una cosa è il voto one shot per eleggere il presidente della Commissione Ue e un’altra sono le maggioranze variabili che possono crearsi all’Eurocamera (senza per questo mettere in crisi il governo, come accadrebbe in Italia). E poi c’è da considerare che, al netto di chi sarà il successore di Ursula von der Leyen, i governi dei 27 che esprimeranno i Commissari Ue sono ormai a trazione centrodestra (solo quattro premier dell’Ue aderiscono ai socialisti di S&D). In mezzo, ad attendere gli eventi, il Ppe. Che resterà ampiamente primo partito (e quindi indicherà il prossimo presidente della Commissione) e che fa il pendolo tra la tentazione di aprire a destra e la consapevolezza che è quasi impossibile escludere dalla partita delle nomine Germania e Francia. Che l’Europa sia storicamente a trazione franco-tedesca non è un mistero e a Bruxelles sono Parigi e Berlino ad avere in mano la macchina burocratica dell’Ue. Al di là degli auspici pubblici di Fdi (ieri Carlo Fidanza si è augurato di «riprodurre in Europa» il «modello italiano», mentre Nicola Procaccini ha detto che «il Ppe tradirebbe la sua natura alleandosi con S&D»), tutti sanno bene che peserà molto anche la geopolitica. E che è dunque altamente improbabile arrivare a un’intesa sul prossimo presidente della Commissione senza l’ok di Renew (il presidente francese Emmanuel Macron) e S&D (il cancelliere tedesco Olaf Scholz).
In questo quadro, ci sta che la campagna elettorale accenda il dibattito. Manfred Weber, presidente del Ppe, fa sapere che per i Popolari «il punto di partenza sarà la cooperazione con S&D e Renew». Insomma, quella «maggioranza Ursula» che nel 2019 ha eletto von der Leyen. Che Weber – allora spitzenkandidat dei Popolari – non ama affatto, tanto che le preferirebbe l’attuale presidente del Parlamento Ue, la maltese Roberta Metsola (gradita a destra). Ma la verità è che nei Popolari sono in molti a guardare a Ecr e, in particolare, a Fdi. Perché Meloni non è solo presidente dei Conservatori, ma pure premier di un Paese fondatore dell’Ue. Tornando al peso della geopolitica, non un dettaglio. Non è un caso che un portavoce della tedesca Cdu confermi che non ci sono veti su una «collaborazione» con Meloni, perché «il fattore decisivo per un confronto è che sia con partiti filo-Ucraina». E Fdi di più non potrebbe esserlo. Fa un passo in più l’Ovp, i Popolari austriaci che con il cancelliere Karl Nehammer governano a Vienna. «Non vogliamo escludere a priori Fdi – dice il portavoce del partito – ma piuttosto esaminare la cooperazione sulla base dei programmi».
Uno scenario che piace anche al vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani. Che auspica «un’alleanza Ppe-Renew-Ecr» che tenga fuori «la signora Le Pen» che «vuole uscire dalla Nato» e «non è un’europeista». Parole frutto di convinzioni personali, ma anche di opportunità politica, perché in ballo in Italia c’è la corsa all’ultimo voto con Matteo Salvini. La Lega, infatti, milita in Id insieme ai lepenisti. E non è un caso che ieri il leader del Carroccio gli abbia risposto per le rime: «È sorprendente che l’amico Tajani preferisca il bellicista Macron a Le Pen». D’altra parte, Salvini – destinato a ridurre la sua pattuglia di eurodeputati da 23 a 7-8 – è costretto a muoversi di risulta. Ieri ha avuto un video-collegamento con Le Pen, per ribadire di essere d’accordo con la decisione di isolare Alternative für Deutschland. E senza i cripto-nazisti tedeschi – che potrebbero essere espulsi anche prima delle Europee – si affievolirebbe di molto il cordone sanitario intorno a Id, che diventerebbe un interlocutore diretto di Ecr. Creando un asse che quasi certamente non scenderà in campo nel one shot per eleggere il presidente della Commissione, ma che potrebbe condizionare per un’intera legislatura i voti dell’Eurocamera.
Con in mezzo il Fidesz del premier ungherese Viktor Orbán, che vorrebbe entrare in Ecr ma che politicamente – in particolare sul dossier Ucraina – potrebbe trovarsi più a suo agio in Id.