Nei giorni scorsi «gli Studenti» hanno occupato la prima pagina, specie dei Tg. Li circondo con le virgolette e uso la maiuscola non per rispetto, ma per dispetto e per non confonderli con «coloro che studiano». Accade che una minoranza di tanto in tanto si identifica con lo spirito che aleggia sulle acque turbinose del mondo, e pretende di essere l’entità destinata a guidare il mondo.
Il fatto è che cominciano già a comandarlo. «Gli Studenti» che in questi giorni occupano le università più ricche e titolate degli Stati Uniti, e che hanno contagiato con i loro slogan antisemiti gli atenei extra-lusso di Francia (Sciences Po di Parigi) e Inghilterra, dirigono il pensiero adorante dei media di tutti i Paesi del mondo, e pur essendo una sparuta minoranza gestiscono i sentimenti pubblici e il non-pensiero di quasi tutta la casata intellettuale dei piani alti di editoria e finanza; cioè, della sinistra. Minoranza? Sono sessanta quelli che sono entrati nottetempo a Sciences Po, vedi Le Figaro, circa cento – lo scrive Il Manifesto – quelli che hanno atteso il presidente Mattarella all’Università La Sapienza di Roma esponendo cartelli di protesta su Gaza, e dichiarandosi poi insoddisfatti delle sue risposte di buon senso. Sessanta, cento… poca roba… e allora perché si è scatenato l’ambaradan? I loro predecessori, che occupano tuttora i posti di comando culturale, hanno esaurito le loro cartucce scambiando Vannacci per Farinacci, si sentono rappresentati da questa entità avanguardista cui passare il testimone delle cazzate. L’Italia (e non solo) si è stufata di questi parrucconi dei quartieri alti: sono stati sorpassati democraticamente dal sentimento popolare che con il voto ha preferito appoggiarsi a Meloni e all’intero cucuzzaro di centrodestra, dimostrando di non voler rinunciare a principi tipo famiglia patria e persino Dio su cui regolare la vita sociale.
«Gli Studenti», tutto al contrario, hanno aggiornato l’idea di amore libero pretendendo di imprigionarlo in matrimoni di ogni tipo, costituendo famiglie fluide (appoggiati dalla Schlein) e sono passati dal tifo per Al Fatah a quello per Hamas insieme al programma dell’eliminazione d’Israele, documentata dallo slogan «Palestina libera dal fiume (Giordano) al mare». Resta, come nel ’68, la sudditanza agli americani. Li imitano anche nel modo di essere antiamericani. I cui governanti, con tutti i guai che hanno combinato e combinano per ogni dove, almeno hanno sempre difeso Israele dalla minaccia di annientamento.
Quelli che capeggiarono il ’68, ormai una discarica di nonni rimbambiti, almeno conoscevano il latino come Mario Capanna, e citavano le opere complete di Lenin. Quanti fanno casino nel ’24 hanno per padre il vuoto. Li accomunano gli scontri con la polizia.
Non voglio buttarla troppo in politica, però. E neppure sostenere che una volta le università erano meglio, eccetera. Vidi più o meno gli stessi tipi umani prevalere quando frequentai, da lavoratore-studente (minuscolo), l’università Cattolica a Milano. E mi sovvenne già allora che fu dagli atenei che partirono le manifestazioni de «gli Studenti» per spingere l’Italia nelle guerre mondiali, prima e seconda. Oggi riaccade. Fiancheggiano gli antisemiti palestinesi, arabi, turchi, iraniani. Confidano spero inconsciamente – che finiscano il lavoro di Hitler con gli Ebrei (maiuscolo stavolta per amore). Odiano questo popolo non a causa di Israele, ma vogliono annichilire Israele perché è il baluardo di questo popolo che detestano in quanto inizio della nostra civiltà. Le famose radici giudaico cristiane da svellere. Sia chiaro, ritengo talune scelte di Netanyahu sbagliate, anche se non saprei indicarne di migliori, ma ritengo ancor più sbagliato intenerirsi per Sinwar, il leader assassino di Hamas. Perciò dico viva Israele.
Concludo con una constatazione fiduciosa, che strappo dal mio pessimismo sulla razza umana, me incluso. Coloro che studiano, gli studenti in minuscolo, si affermeranno nelle professioni e miglioreranno il mondo con invenzioni, lavoro e poesia. Ma rilevo che gli italiani più grandi dell’ultimo secolo non hanno frequentato l’università per scelta o per necessità, e mal non gliene incolse, a quanto dice la storia. Benedetto Croce non si laureò, né si imbarcò in concorsi accademici. Penso poi a quattro nostri Nobel che trascurarono anch’essi il pezzo di carta. Guglielmo Marconi evitò di frequentare gli esimi colleghi, intuendo fosse più giovevole per l’umanità e il suo umore attraversare e riattraversare l’Oceano in piroscafo salvando vite con la sua radio. Gabriele d’Annunzio preferì marciare su Fiume e passeggiare nel pineto. Piuttosto che ingolfarsi in aule di fighetti. Nella seconda metà del XX secolo, la crème del nostro umanesimo contemporaneo, Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale, evitarono il liceo scegliendo gli istituti tecnici. Si diplomarono e lavorarono il primo da geometra, il secondo come ragioniere. Tutti e quattro i Nobel summenzionati non insegnarono mai negli atenei.
Forse le università israeliane non perderanno gran che a essere boicottate dalle nostre.