Presidente Attilio Fontana, dopo il Tribunale dei ministri ora anche la Procura di Bergamo archivia l’inchiesta Covid.
«Dico solo che tutte quelle inchieste non sarebbero nemmeno dovute essere aperte».
Eppure le imputazioni facevano tremare, la diffusione colposa dell’epidemia Covid e addirittura l’omicidio colposo.
«Erano evidentemente contestazioni incredibili».
Eppure sono stati aperti dei fascicoli. Le è venuto qualche dubbio?
«Nessun dubbio. O, meglio, è chiaro che qualche errore è stato fatto, ma assolutamente in buona fede e tenendo conto delle conoscenze scientifiche che avevamo in quel momento. E che erano davvero poche».
Lei era ed è proprio sicuro che in Lombardia siano state rispettate tutte le regole?
«Sono assolutamente sicuro. Abbiamo fatto tutto e solo quello che ci diceva la scienza. Aggiungendo che dalla Cina non è arrivato nessun aiuto, anzi solo tentativi di negare quello che stava succedendo».
Eppure la notizia di quelle indagini sul ministro, sul governatore della Lombardia e sull’assessore al Welfare Giulio Gallera hanno fatto il giro del mondo.
«È stato ancor più grave perché ha instillato un retropensiero negativo nei cittadini che allora avevano così bisogno di fidarsi delle istituzioni».
Dopo le inchieste sono arrivate le minacce di morte e da allora lei è costretto a vivere ancora sotto scorta.
«E c’erano politici di sinistra che andavano ai banchetti sotto la Regione e si fotografavano con gli striscioni dei Carc e i cartelli in cui mi si dava dell’assassino».
Poi la perizia del microbiologo Andrea Crisanti, diventato una star della tivù, sicuro che si sarebbero potuti evitare 4mila morti.
«Una perizia non solo smentita, ma fatta a pezzi dal Tribunale».
Crisanti poi è diventato senatore del Pd.
«Hanno usato la pandemia per fare politica in modo censurabile: i virologi hanno organizzato un racconto falso e la sinistra lo ha sfruttato».
Perché censurabile?
«È stata la prima emergenza nazionale nella quale invece di combattere tutti insieme in trincea, ci siamo dovuti difendere dal fuoco amico alle spalle».
Ora ha avuto giustizia.
«Ma è un peso che mi porterò per sempre dentro: dovevamo proteggere i cittadini dal virus e anche difenderci dagli attacchi di magistrati e politici. Un’accoppiata che avrebbe abbattuto un toro».
Mai pensato di lasciare?
«Mai, perché avevo la coscienza a posto. Abbiamo raggiunto risultati che solo in Lombardia si sarebbero potuti raggiungere. Quando la gente moriva soffocata, in poco più di un mese abbiamo portato i posti letto da 700 a 1.800. Poi in Fiera abbiamo costruito un ospedale, mentre la sinistra ci attaccava e chiedeva di aprire inchieste. Lì nella seconda ondata sono state curate 550 persone. E con eccellenti risultati».
Lei è un avvocato, come ha vissuto le inchieste?
«Accuse totalmente infondate. Ero consapevole che la magistratura si stesse arrogando diritti non suoi».
E alla fine?
«Hanno dovuto dire che non dovevano portare risultati giudiziari, ma scientifici ed epidemiologici».
Strano.
«Inconcepibile. Quei risultati erano politici e se la magistratura si arroga il diritto di fare quasto, siamo davvero tutti in pericolo».
Perché?
«Così si può giustificare qualunque tipo di processo».
È tutto finito in nulla.
«La dimostrazione che i magistrati devono perseguire i reati. E se i reati non ci sono, non deve muoversi».
Giorgio Gori, il sindaco di centrosinistra di Bergamo, non è finito nel mirino come lei.
«Non faccio nomi, ma per qualcuno è stato usato un diverso atteggiamento».
Le rimane un peso.
«Non un peso, ma un macigno che non riuscirò mai a togliermi di dosso».
Qualche insegnamento?
«La necessità e l’urgenza di una riforma della giustizia, per evitare che altri debbano passare quello che ho passato io».
Dove la giustizia non ha funzionato?
«Non si può più tollerare questa pesca a strascico in cui si immagina un reato inesistente e poi si va a cercare se qualcuno può rimanere impigliato nella rete. Un principio inaccettabile.
Giuridicamente e umanamente inaccettabile».