Si fa presto a dire sostenibilità. Ma tra vincoli, normative, lacci, lacciuoli e tasse, chi fa impresa si trova quotidianamente ad attraversare un ginepraio in cui troppo spesso il prezzo da pagare rischia di essere anche più alto della resa finale. Vale per il mondo delle banche, della logistica e dei trasporti, rappresentati al Palazzo Ducale di Genova nel primo panel dell’evento «Quo Vadis Terra?» organizzato nell’ambito del cinquantesimo anniversario de Il Giornale. Perché va bene la svolta green ma la sostenibilità non può essere a ogni costo.
«Il ruolo della banca è importante verso l’accompagnamento ai temi della transizione, per grandi aziende che hanno l’obiettivo decarbonizzazione ma anche per tante piccole aziende che hanno bisogno di supporto – spiega Elena Flor, responsabile Esg Steering di Intesa Sanpaolo – Abbiamo fissato degli obiettivi e delle cifre di finanziamenti stanziando 76 miliardi nel periodo 2021-2026, con un plafond dedicato di 9 miliardi. Ma il tema dei finanziamenti non esaurisce da solo il ruolo della banca. Le aziende vanno accompagnate nel fissare gli obiettivi della sostenibilità. Per questo abbiamo aperto 14 laboratori per seguire le aziende in questo percorso perché l’approccio di un’azienda è molto più complesso rispetto al solo finanziamento». Ma troppo spesso bisogna fare i conti con un’Europa che mette i bastoni tra le ruote. «La normativa europea che è entrata in vigore quest’anno, è il simbolo della contraddizione e del fallimento di una politica trasportistica pensata a livello globale – tuona Luigi Merlo, presidente di Federlogistica-Conftrasporto – Le compagnie stanno rinnovando flotte per andare verso la transizione ma i percorsi sono complessi. E l’Europa invece di investire e sostenere questi processi ha deciso di tassare il trasporto marittimo. Oggi se una nave parte dalla Cina e arriva in un porto europeo la tassazione applicata sarà del 100%, vuol dire decine di milioni per ogni carico che si riversano sul costo complessivo. Se invece la stessa nave approda sulle sponde meridionali del Mediterraneo o in Inghilterra non paga nulla, anche se inquina uguale. Il risultato? Costi aggiuntivi e nessun beneficio con il paradosso di una norma entrata in vigore e non sospesa in un momento di blocco del Canale di Suez. Eppure solo in Italia resteranno 3 o 4 miliardi di tassazione che dovrebbero essere investiti nel green ma senza paralizzare l’economia attuale. Ma c’è un altro paradosso – osserva Merlo – L’energia per alimentare le navi in porto e puntare sull’elettrificazione è prodotta da carburanti tradizionali».
«Siamo in un guaio, e in queste situazioni si rischia di farsi prendere dal panico e di fare peggio – conferma Mario Tartaglia, responsabile Research Centre del Gruppo FS – Il trasporto ferroviario è tra le vittime di questo processo, perché le ferrovie, è provato, incidono per meno dell’1% delle emissioni in Italia. Il nostro obiettivo è ridurre del 50% le emissioni climalteranti entro il 2030 ma come Ferrovie, a conferma del nostro senso di responsabilità, siamo già avanti: il 93% dei nostri mezzi infatti si muove in elettrico. In ogni caso serve collaborazione, senza mettere in contrasto mezzi che non sono in competizione tra loro per ottimizzare il trasporto». La strada, quindi, è tracciata: il futuro, ma anche il presente, è verde. Ma perché la transizione sia reale deve essere davvero sostenibile.
Altrimenti resterà solo l’ennesimo slogan di un’Europa troppo spesso lontana dalla realtà.