L’Ordine dei giornalisti dice no alla pena del carcere e all’inasprimento delle sanzioni pecuniarie per gli operatori della stampa. A prendere ufficialmente posizione su questo tema è Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Odg, commentando la sentenza che ha comminato otto mesi di carcere a Pasquale Napolitano, cronista de il Giornale condannato per un articolo pubblicato sulla testata online Anteprima24 ad aprile del 2020 che riguardava il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola. Bartoli prende carta e penna e si appella alla politica per chiedere a gran voce che venga garantita la “libertà di stampa” come imprescindibile “diritto di tutti i cittadini”.
“Rifiutiamo l’idea che in un Paese democratico venga ancora comminata la pena del carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa – sottolinea il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti -. Il caso di Pasquale Napolitano, cronista del Giornale, giustamente denunciato oggi in prima pagina con grande evidenza, è la goccia che fa traboccare il vaso di una normativa che non sta più in piedi“. Al di là del merito della vicenda, “che pure suscita non poco stupore per la discrepanza tra fatto e condanna, è necessario comprendere che l’uso strumentale delle azioni giudiziarie (penali e civili) contro i giornalisti colpisce tutta la stampa, al di là dei suoi orientamenti“. Infine il monito di Carlo Bartoli rivolto a tutte le forze politiche presenti in Parlamento: “Attenzione, non si può però abolire il carcere e inasprire le pene pecuniarie colpendo, in particolare, i cronisti più deboli. Serve una riforma che tuteli la libertà di informazione, che non è una prerogativa dei giornalisti ma un diritto di tutti i cittadini e un architrave della democrazia“.
La discussione in Parlamento sul carcere ai giornalisti
Proprio in queste ultime settimane si è discusso pubblicamente sul carcere per i giornalisti. Prima con un emendamento al disegno di legge n. 466 – un ddl presentato in Senato nel gennaio 2023 dal senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni – a firma del senatore Gianni Berrino che proponeva di punire anche con la reclusione chi, mediante “condotte reiterate e coordinate, preordinate ad arrecare un grave pregiudizio all’altrui reputazione“, attribuisce a taluno a mezzo della stampa “fatti che sa essere anche in parte falsi“, o addirittura “costituenti reato“. Il parlamentare di FdI chiedeva pure di mantenere la pena della reclusione per il reato di diffamazione, dopo di che l’emendamento venne ritirato.
Così come non erano passati quelli al disegno di legge in materia di rafforzamento della cybersicurezza nazionale e di reati informatici, attualmente all’esame delle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia alla Camera. Enrico Costa, deputato di Azione, proponeva una norma (art. 615-sexies del codice penale) che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni “chiunque, conoscendone la provenienza illecita, diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazioni al pubblico, in tutto o in parte le informazioni” derivanti, tra l’altro, dall’accesso abusivo a un sistema informatico o telematico. Qua il parlamentare eletto con Carlo Calenda ha incassato il no nelle Commissioni congiunte di Giustizia e Affari costituzionali di Montecitorio.
Quello di Tommaso Calderone, invece, prevedeva che le norme in tema di ricettazione, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e autoriciclaggio (articoli 648, 648-bis, 648 ter e 648-ter-1 c.p.) “si applicano anche ai dati o programmi contenuti in un sistema informatico telematico sottratti illecitamente e alla loro utilizzazione, riproduzione, diffusione o divulgazione con qualsiasi mezzo“. La pena è la reclusione fino a tre anni.
In questo caso è stato lo stesso governo a intervenire, con il pressing del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, che ha convinto Forza Italia al dietrofront.