Ora si teme il rischio paralisi delle opere in Liguria. Quello ribattezzato dalla cronaca giudiziaria degli ultimi giorni come il «sistema Toti» per la presunta corruzione ipotizzata dai pm, affossa quello che il governatore ha sempre rivendicato come il suo «sistema» del fare, quello del «modello Genova». Quella politica della concretezza di cui il presidente della Liguria ha fatto la sua bandiera, nel mandato in cui ha gestito la fase più difficile per il territorio, quella del crollo del Ponte Morandi, da commissario per l’emergenza, e poi quella della ricostruzione, accanto al commissario e sindaco di Genova Marco Bucci (estraneo alle indagini).
Fino a poco prima di essere arrestato Toti ricordava l’urgenza di realizzare la Diga foranea nel porto del capoluogo ligure, finita ora nelle carte dell’indagine, su cui l’Anac ha alzato il cartellino rosso con un parere inviato in Procura. Contestazioni tecniche e procedurali contro cui il governatore aveva annunciato il ricorso al Consiglio di Stato. Temeva il rischio rallentamento. Del resto lo ha ricordato subito – appena scoppiata la bufera giudiziaria che ha portato ai domiciliari Toti anche il sindaco di Genova Bucci: «C’è una città da portare avanti con un piano strategico ben preciso e 7 miliardi da investire» con il Pnrr.
Il governatore aveva improntato la sua amministrazione sulla scommessa delle grandi opere. Solo pochi mesi fa la battaglia perché il governo non stralciasse dal Pnrr il Terzo valico, la linea ad alta velocità dovrebbe potenziare il sistema portuale ligure collegandolo alle principali linee ferroviarie d’Europa. Non solo: «La diga di Genova e l’aumentata capacità del porto, il nuovo passante ferroviario di Genova, gli interporti di Alessandria – elencava Toti – sono un sistema economico che deve essere pronto entro il 2026 perché gli operatori della logistica mondiale, aziende, imprese, il sistema economico del quadrante di Nord Ovest contano su quella data».
Ora invece si teme lo stop. «Mi auguro che le indagini a Genova non blocchino i tanti cantieri che abbiamo aperto in Liguria perché non servono a Salvini o a Toti, ma servono ai genovesi e ai liguri», ha detto ieri il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Per il sottosegretario al Mit, il genovese Edoardo Rixi, «nessuna impresa prenderà più un appalto pubblico, magari dopo essere stata ad una cena elettorale. Siamo all’inizio di un cinema che durerà anni e che rischia di bloccare tutti i cantieri». Le preoccupazioni riguardano soprattutto la diga, i cui lavori sono già iniziati: «Se parte quest’opera è tutta l’area geografica del Nord-Ovest in Italia che diventa qualcosa di completamente diverso. Non si può ridurre tutto alla sola banchina di Spinelli (l’imprenditore della logistica accusato di corruzione nell’inchiesta su Toti, ndr)». Il viceministro si domanda se «ci sia qualcosa di molto più grosso e di inquietante» al di là dell’inchiesta della magistratura, visto che la diga di Genova, «come il ponte sullo Stretto ha degli interessi che vanno oltre i politici locali e nazionali».
Per il presidente di Confindustria Genova, Umberto Risso, «il rischio adesso è che si usino le inchieste come una clava contro il cosiddetto modello Genova», e chiede che non venga strumentalizzato «il caso Toti per bloccare tutto».