Aveva attirato l’attenzione degli uomini della Digos per i suoi atteggiamenti anti Israeliani e la sospetta attività di proselitismo islamista online, finendo in manette con l’accusa di propaganda e istigazione a delinquere finalizzate all’odio razziale e religioso: emergono nuovi dettagli su Moustafa Khawanda, il 29enne di origini egiziane con passaporto italiano arrestato a Milano.
Khawanda si era reso protagonista di una intensa campagna di sostegno ad Hamas e agli attacchi dello scorso 7 ottobre, dichiarando non solo tutto il suo supporto all’azione dei miliziani ma dicendosi pronto a unirsi alla loro causa e a imitarli. Gli altri segnali che hanno messo in guardia gli inquirenti sono stati il suo inneggiare alla Shoah, al martirio e alla Jihad e le sospette ricerche che faceva in rete: tra un allenamento e un altro in palestra, dove si scattava delle foto, il 29enne approfondiva le sue conoscenze sui collegamenti aerei con il Medio Oriente, specie su come raggiungere le zone più “calde” del conflitto israelo-palestinese.
Impossibile che tutti questi segnali non attirassero su di lui l’interesse degli investigatori della Digos di Milano e quello dei colleghi della direzione centrale della polizia di prevenzione, che prestano particolare attenzione ai segnali che possono rivelare pericoli connessi all’integralismo islamico o il rischio di terrorismo.
Khawanda era particolarmente impegnato in sospette attività online, a partire dallo stretto rapporto con profili appartenenti a persone che condividevano le sue idee tramite WhatsApp e Instagram: oltre all’esplicito sostegno alle azioni di Hamas, c’era un’intensa attività di condivisione di video e immagini di propaganda islamista. Oltre ciò, il 29enne di origini egiziane pubblicava online degli estratti di messaggi di Hamas e Hezbollah, traducendoli in italiano e anzi spesso mettendoci del suo per rendere il testo ancora più accattivante.
Secondo gli investigatori, come riferito da “Il Giorno”, il fine ultimo di questa compulsiva attività di propaganda era quello di attirare delle persone con l’obiettivo di “arruolarle” e impegnarle nella causa contro gli “infedeli”.
Le indagini da parte della questura di Milano, che si sono aperte dopo il focus sull’operato di Khawanda in rete, si sono ampliate anche ad alcuni dei suoi contatti, specie nei confronti di quelli che gli inquirenti ritengono essere suoi “fiancheggiatori“. Le perquisizioni, infatti, sono state effettuate anche nei riguardi del padre del 29enne e di altri tre individui che si sarebbero mostrati particolarmente affini alle idee estremiste dell’indagato e sensibili alla sua attività di proselitismo.
Secondo quanto emerso finora, uno di questi soggetti sarebbe già noto alle forze dell’ordine locali in quanto persona vicina agli ambienti dell’estrema destra milanese.