Nicola Ricciardi: “Vi racconto la mia Miart”

Nicola Ricciardi: "Vi racconto la mia Miart"

Il critico e curatore Nicola Ricciardi, ex direttore artistico delle Officine Ogr di Torino, prese quattro anni fa il testimone di Alessandro Rabottini alla guida di Miart nel momento migliore, ma anche nel momento peggiore. La fiera milanese viaggiava sulle ali di un successo crescente di pubblico e di mercato, ma il tunnel della pandemia stava trascinando anche il sistema dell’arte in un cosmico buco nero. Oggi, alla chiusura della «sua» quarta edizione, quell’incubo sembra solo un brutto ricordo anche se molte cose, rispetto al periodo pre-covid, sono inesorabilmente cambiate. Il ritorno al futuro è nel numero delle gallerie, oltre 180 tra italiane e estere, pari a quello dell’edizione 2019. «Chi pensava che la rivoluzione online avrebbe fatto fare salti quantici al mercato dell’arte si sbagliava – dice Ricciardi – e oggi si dimostra che il rapporto vis a vis collezionista-gallerista è insostituibile. Però…»

Però?

«Da tempo sono convinto che il modello fieristico tradizionale abbia segnato il passo, lo dimostra l’attitudine delle gallerie a presenziare a sempre meno manifestazioni, e non è solo una questione di costi. C’è un trend generale che impone alle fiere una sempre maggior specificità dell’offerta e dei programmi. Paradossalmente quelle medie come Miart sono più in salute di big come Art Basel, Frieze o Tefaf, che nelle ultime edizioni non sono andate benissimo».

Le cause non stanno anche nella crisi del mercato?

«Non parlerei esattamente di crisi. Dal Covid in poi c’è stata indubbiamente una frenata da parte dei big spender, più prudenti a sganciare liquidità, forti anche di collezioni ormai ben consolidate. Oggi la vera sfida sta nell’educare una nuova classe di collezionisti giovani che possano puntare alla generazione di artisti 40-50enni. É un lavoro per cui occorrono almeno cinque anni, ma il momento è propizio perchè oggi sono le gallerie ad aver bisogno di liquidità e quindi si può iniziare a costruire una raccolta facendo buoni affari».

Miart, nel panorama italiano, mantiene la sua identità di fiera al guado tra moderno e nuove tendenze. Una scelta che considera premiante anche nell’attuale congiuntura?

«Assolutamente sì perchè, al di là delle apparenze, una netta specificità oggi ci differenzia dalle fiere internazionali. Ciò vale anche per Artissima di Torino che ha sempre puntato solo sul contemporaneo e che infatti non conosce crisi».

Miart però continua a investire sulla presenza di gallerie straniere. Non è un modo per scimmiottare le grandi fiere internazionali?

«No, non ce lo potremmo neanche permettere. La presenza di gallerie estere di qualità è ovviamente fondamentale, ma il collezionista non viene a Miart per cercare opere che troverebbe a Basilea o a Londra, ma per quel 60 per cento di gallerie italiane che solo qui portano delle opere-chicche tra moderno e contemporaneo».

Faccia qualche esempio.

«La galleria Tornabuoni ha esposto due capolavori di Alberto Burri, Combustione B.A. (1960) e Combustione plastica (1957), che sono state protagoniste della mostra “Arte Povera” al Pompidou di Parigi nel 2016 e della mostra itinerante “Alberto Burri e Lucio Fontana” che ha attraversato gli Usa tra il 1966 e il 1968. E ancora: su mia richiesta, le gallerie Lo Scudo di Verona e Lampertico di Milano porteranno opere legate a Venezia di cui si sta per aprire la Biennale: un progetto sullo spazialismo veneto e uno sugli artisti italiani passati dalla Peggy Guggenheim».

A proposito della Biennale. Quest’anno Miart ha aperto praticamente nella stessa settimana, e pure in concomitanza con la design week. Questa bulimìa di eventi non rischia di disperdere il pubblico?

«Io guardo il lato positivo, e cioè il fatto che negli stessi giorni affluiranno nel Norditalia collezionisti, critici e direttori di musei da tutto il mondo. Sono certo che Miart saprà giovarsene, senza contare che il pubblico troverà in fiera anche artisti presenti a Venezia.

Aggiungo che l’altra nostra specificità è la città di Milano, con la sua concentrazione di mostre-eventi e occasioni di convivialità: un ingrediente prezioso per ispirare i collezionisti a comprare».

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