In uno scenario che rasenta sempre più il Il deserto dei Tartari di Buzzati, l’attacco eventuale da parte dell’Iran a Israele sembra essere atteso dal mondo intero. Tuttavia, stenta fortunatamente a non giungere, nonostante la rappresaglia minacciata in seguito all’attacco al Consolato di Damasco del 1 aprile scorso.
Il piano di Israele in caso di attacco
Ma lo stato ebraico sceglie già di passare ai fatti in via preventiva, approvando il piano per un attacco all’Iran nel caso in cui venisse colpito dal territorio della Repubblica islamica. Inoltre, è stato potenziato il coordinamento tra gli Stati Uniti e l’esercito israeliano. A riportarlo la stampa israeliana. Il capo del Pentagono, il generale Lloyd Austin da parte sua ha assicurato a Yoav Gallant che “Israele può contare sul pieno sostegno degli Stati Uniti per difenderlo dagli attacchi iraniani, che Teheran ha pubblicamente minacciato“. Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth sostiene che l’esercito israeliano e il Mossad saranno pronti alla risposta qualora Teheran dovesse bombardare Israele dall’interno del territorio iraniano e non attraverso i suoi proxy. Secondo gli 007 di Washington, la ritorsione iraniana sarebbe imminente e potrebbe essere “più grande del solito“.
Anche in quest’ottica, l’esercito israeliano ha vietato ai suoi membri di viaggiare all’estero senza permesso in vista dell’atteso raid. Il Financial Times, citando fonte diplomatica anonima, riporta che gli Stati Uniti hanno messo in guardia l’Iran dall’attaccare strutture o cittadini statunitensi. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno ribadito come l’attacco israeliano non dovrà essere utilizzato come come pretesto per un’ulteriore escalation nella regione.
Le informazioni di Washington
Secondo l’intelligence americana l’Iran potrebbe reagire sul suolo israeliano nelle prossime 24-48 ore. Indiscrezioni che trapelano negli Stati Uniti a mezzo Wall Street Journal. Tuttavia, lo stesso giornale cita anche una fonte vicina al regime iraniano, secondo cui Teheran non avrebbe preso ancora alcuna decisione definitiva.
Gli Stati Uniti, che mantengono il loro sostegno a Israele nonostante le tensioni e le frecciatine fra Tel Aviv e Washington, hanno annunciato la limitazione degli spostamenti in Israele del proprio personale diplomatico e dei membri delle loro famiglie. Nel contesto di escalation con l’Iran, il generale americano responsabile del Medio Oriente, Michael Erik Kurilla, si trova in loco per discutere con i vertici militari del Paese delle minacce alla sicurezza nella regione. Il leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, fa sentire anch’egli la propria voce: Israele sarà “punito” dopo l’attacco del 1° aprile in Siria, che ha distrutto il consolato iraniano a Damasco e ha causato la morte di 16 persone, tra cui sette membri del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie. “Se l’Iran effettua un attacco dal suo territorio, Israele risponderà e attaccherà l’Iran“, ha risposto in persiano il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz.
Dove potrebbe colpire Teheran
Secondo il WsJ, all’inizio di questa settimana le Guardie rivoluzionaria avrebbero contattato l’ayatollah, proponendogli diverse opzioni per colpire gli interessi israeliani. Tra gli scenari presi in considerazione figura un attacco diretto contro Israele con sofisticati missili a medio raggio. Ad avvalorare questa tesi, nelle ultime ore, gli account di social vicini alle Guardie rivoluzionarie che hanno pubblicato diversi video che mostrano attacchi missilistici simulati contro l’aeroporto israeliano di Haifa e il suo impianto nucleare a Dimona.
Un funzionario iraniano ha anche precedentemente affermato che l’Iran avrebbe invece colpito gli impianti elettrici e di desalinizzazione israeliani se attaccato. Ma Khamenei non ha ancora preso una decisione, temendo che un attacco diretto possa rivelarsi controproducente, con l’intercettazione e la risposta di Israele (e relativa massiccia ritorsione) contro le infrastrutture strategiche dell’Iran. Teheran e i suoi alleati potrebbero anche attaccare il Golan o anche Gaza per evitare un attacco all’interno del territorio riconosciuto a livello internazionale come “Israele”.
Altra opzione, di cui avevamo parlato anche da queste colonne, sarebbe quella di colpire le ambasciate israeliane, in particolare nel mondo arabo, per dimostrare loro che i legami con Tel Aviv potrebbero costare molto caro.