Le immagini mostrano signorine dal sorriso virtuale che leggono notizie a raffica. E, già che ci sono, cambiano pure lingua, passando dall’inglese al greco con la disinvoltura con cui si scalano le marce in macchina. La Rivoluzione, la quinta come recita il titolo dell’evento, è alle porte. Anzi, è già entrata nei palazzi in cui si fabbricano i giornali. Il cielo è limaccioso e Mauro Crippa, direttore dell’informazione Mediaset, lo scruta preoccupato: «La narrazione generale è che l’intelligenza artificiale sostituirà i giornalisti nel lavoro di base, ma la parte alta del mestiere resterà agli uomini.
Naturalmente non sarà così, temo che quei palazzi si svuoteranno e saranno riempiti da server». Sembra di stare in un racconto di fantascienza uscito dalla penna di Tommaso Landolfi. Insomma, il mondo corre come i bersaglieri nel futuro ma il domani potrebbe riservare qualche perfido scherzetto: un direttore battezzato nel segno di ChatGpt o altre entità aliene al posto dei vecchi cronisti, sempre sul filo della nevrosi. Chissà. Già sono comparsi, qua e là sul mappamondo, strani giornalisti senza nome, che tengono a mente miliardi di dati e vanno velocissimi anche se, almeno per ora, scrivono in modo un po’ scolastico. Il bello della tavola rotonda, moderata da Hoara Borselli che insiste sul valore della conoscenza perché l’IA non può essere trattata come un nemico, è che le parti in qualche modo si invertono. Barbara Caputo, direttrice Hub AI al Politecnico di Torino, prova a smitizzare il grande intruso: «Non è che l’intelligenza artificiale sia la colomba dello Spirito Santo. Non è onnipotente e comunque c’è ancora molto da fare. Dove è il robot che stira? Io non l’ho ancora visto. E se siamo così avanti perché la guida autonoma non prende piede?».
Domanda che gli altri relatori ribaltano: «Il problema – replica Crippa – è la guida umana. Dovrebbero esserci solo piloti in formato robot. Ne basta uno, diciamo così, tradizionale, per far saltare i progetti. Ci vuole gradualità». Marco Ditta, direttore IA di Intesa Sanpaolo, ne approfitta per dilatare il tema già spalancato verso l’ignoto: «Pensate a un incidente: chi pagherà per l’errore? L’intelligenza artificiale? Chi l’ha progettata? La casa automobilistica? Immaginiamo quel che avverrà nel mondo delle polizze assicurative». Quesiti che faranno la fortuna degli avvocati. «In ogni caso l’IA – aggiunge Ditta – aiuta molto il mondo bancario perché potenzia i servizi che noi mettiamo a disposizione della clientela. Come la lotta alle frodi». Un passo avanti, ma anche di lato. Michele Grazioli, ceo di Vedrai, la testa nella tecnologia ma le mani in cucina, compone l’immagine giusta: «Io ho una grande passione per la cucina e posso dirvi che anche la carbonara è un algoritmo», il mangime dell’IA.
Quel che Grazioli aggiunge è l’invito a guardarsi allo specchio, come la matrigna delle favole: noi umani non siamo i più belli del reame. «La macchina può leggere e metabolizzare milioni di libri, noi qualche centinaio, non c’è competizione». Siamo spacciati, ma anche no. Il cielo è anche azzurro, come in certe giornate limpide: «Mano mano che la macchina cresce – è il paradosso di Crippa – deve aumentare anche la nostra creatività, la nostra umanità, la nostra imperfezione». Che, se ci riflettiamo bene, è così deliziosa e mai brevettabile. La questione è intrigante e ha molti lati, come una figura geometrica. Ci vogliono regole, perché la potenza di questa invenzione è devastante e può rovesciare molti tavoli. Caputo però lancia l’allarme su un altro punto: «In California e non solo si investono miliardi su miliardi, qui poco più che spiccioli. Non c’è partita, siamo alla periferia dell’impero». Intanto software sempre più ambiziosi raggiungono risultati strabilianti. «L’IA – conclude Crippa – pensa per conto suo e non sappiamo talvolta come abbia scoperto quella certa cosa». Rischia di scapparci di mano, ma intanto ci porta più in là, sempre più in là.
Che poi è il sogno di ogni uomo.