La seduzione della tecnologia non lo smuove. «Non so nulla – ironizza serafico Vittorio Feltri – dell’intelligenza artificiale ma in compenso conosco bene l’ignoranza naturale». Nicola Porro, che dovrebbe intervistare l’IA (AI in inglese) con lui, si rivolge direttamente alla macchina: «Ci puoi portare uno spritz?» La risposta, dopo lunga attesa, è disarmante: «Puoi andare al bar». Risate in sala. Feltri gongola per la vittoria facile, ma non è finita.
Porro porta l’IA verso la biografia dell’illustre collega seduto al suo fianco: «Quando Feltri è diventato direttore del Giornale? L’interlocutore virtuale questa volta l’azzecca: «Nel gennaio 1994». E aggiunge: «Il direttore ha portato le copie a quota 250mila». «Adesso – si illumina il protagonista della performance – comincia a piacermi».
Si va avanti così, fra passato e futuro, sempre sul filo dell’ironia: Porro loda le sorti magnifiche e progressive, Feltri si rintana nelle sue certezze: «Google? Sembra il nome del mio gatto: Google!». Peró ammette di usare l’iPad : «Per forza, non ci sono alternative. E poi è solo una scatola».
Un duetto dietro l’altro e ogni tanto il volto televisivo di Mediaset prova ad accendere l’IA ma Feltri gli sbarra il passo, giocando sempre in retroguardia. Poi però allunga un paio di stoccate al nemico virtuale, ma pure alla categoria in carne e ossa cui appartiene: «Noi abbiamo l’anima, a differenza dei computer (applausi dal pubblico, ndr), però oggi il giornalista sta gran parte del tempo davanti al suo pc. Allora tanto vale che scriva direttamente l’intelligenza artificiale». Il consiglio finale Porro lo chiede a lui e non al software: «Ma quale dev’essere la priorità per il cronista?» «Origliare – replica secco Feltri – come il prete nel confessionale».
Chissà se l’IA è d’accordo.