Non dovranno correre, saltare e fare flessioni, come invece tocca agli aspiranti poliziotti. Ma per il resto gli aspiranti magistrati dovranno sottoporsi, quando il decreto approdato ieri in Consiglio dei ministri sarà operativo, ad una valutazione altrettanto approfondita della loro capacità mentale di svolgere correttamente il loro mestiere. «L’obiettivo in questi casi – spiega al Giornale una fonte che conosce bene il funzionamento dei test – non è dare la caccia al matto o allo schizofrenico, ma più semplicemente verificare se il candidato è adatto a adempiere a una funzione che non tutti sono in grado di svolgere. È una verifica scientificamente fondata e strutturata, che ricomprende quelle figure ricomprese nelle categorie di cui in linguaggio tecnico si dice che riconfigurano la vita di altre persone».
Che i magistrati – qualunque sia il loro ruolo specifico – rientrino in queste categorie è fin troppo ovvio. Per questo i test saranno finalizzati a individuare forme di narcisismo, di mancanza di empatia, di pregiudizi, di funzionamento relazionale che rischiano di compromettere la capacità di riconfigurare in modo responsabile la vita di quanti (imputati, vittime, parti civili in conflitto tra loro) si trovano alle prese con i meccanismi giudiziari. Le modalità pratiche in cui i test verranno realizzati sarà affidata al Consiglio superiore della magistratura d’intesa col ministero della Giustizia, e si può ipotizzare che presenteranno un livello di complessità almeno pari al test utilizzato attualmente per il più difficile dei concorsi per l’accesso in polizia, quello per funzionari. Quindi una preselezione con ottanta domande di cultura generale a risposta multipla (le classiche crocette) con 60 minuti per rispondere, seguita – per chi supera il primo scoglio – dal test vero e proprio, gestito sulla base di studi universitari: cento domande divise per batterie, accertamenti di logica, di ragionamento, di calcoli combinati. Lo schema base è quello del famoso test Minnesota, ma elaborato e tarato per età e sesso. Sia per il primo che il secondo scoglio le domande vengono cambiate continuamente su un campione quasi sterminato per impedire che si possa superare l’esame solo imparando a memoria uno dei tanti bigini tipo «Seimila domande per diventare magistrato».
Un punto critico si annuncia il passaggio finale, che per gli aspiranti poliziotti è l’incontro con il cosiddetto «perito selettore». È probabile che affidare a un singolo valutatore l’ultima parola sull’accesso del candidato al lavoro di giudice venga considerato dal Csm in conflitto con la norma costituzionale che indica soltanto il concorso come canale per l’arruolamento in magistratura: un singolo perito si troverebbe a gestire un potere assai più grande della commissione che ha valutato la preparazione giuridica dei candidati. La soluzione potrebbe essere la valutazione da parte non di un singolo perito ma da un collegio di esperti o – più probabilmente – la limitazione del test alle due sessioni di domande.
Qualunque sia la soluzione tecnica che il Csm adotterà, il sistema dei test sarà destinato a esplorare quella parte della personalità del candidato che il concorso per l’accesso in magistratura finora teneva fuori dai suoi radar. Alla valutazione della preparazione tecnica (con i classici tre temi scritti di diritto penale, civile e amministrativo, e il colloquio orale cui il decreto di ieri aggiunge la materia del diritto fallimentare) il test psicoattitudinale dovrà accertare le capacità relazionali, l’apertura mentale, l’atteggiamento generale che sono elementi fondamentali di un giudice equilibrato. Per questo nell’espressione «psico-attitudinale» si preferisce mettere l’accento sulla seconda parte, l’attitudine, più che sugli aspetti psicologici: ma è ovvio che anche questi dovranno essere scandagliati. «Certo – dice l’esperto – in teoria sarebbe meglio somministrare test diversi a chi aspira a fare il giudice e a chi vuole fare il pubblico ministero».
Ma scoppierebbe un’altra rivolta.