Silvano è una delle canzoni più buffe e surreali di Enzo Jannacci, che in un video ante litteram – eravamo nel 1980 – gira in pattini per il centro di Milano sbraitando di un amore omosessuale infelice con un linguaggio fisico e slabbrato. Una canzone apparentemente allegra che ha fatto scervellare generazioni di fan su frasi fuori fuoco e bizzarre, come “Silvano, non valevole Ciccioli”, che fa riferimento -pare – a una non riuscita iscrizione all’anagrafe del protagonista.
Sto divagando, ma nemmeno tanto, perché oggi vi parlo di un locale a Milano, in zona NoLo, che all’atmosfera del brano del cantautore-chirurgo si ispira, raccontando in termini culinari e ambientali una certa città non ancora da bere, più imperfetta e umana di oggi. Silvano è un locale abbastanza indefinibile: bistrot? Enoteca con cucina? Trattoria contemporanea? Sono certo che in ogni caso Vladimiro Poma, l’oste che vi volteggia sempre sorridendo, e Cesare Battisti, il patròn di Ratanà che qui è socio e ispiratore, non si curerebbero di una definizione precisa. Diciamo che si tratta di un locale stretto e lungo, con alcuni tavolini e un bandone infinito dove è bello issarsi per essere serviti di quello che si è scelto dalla sostanziosa carta e di quello che occasionalmente Vladimiro ti propone in assaggio.
Si potrebbe raccontare Silvano per quello che vi si mangia, una sfliza di piatti saporosi e confortevoli, con un apporto di fantasia al minimo indispensabile, ma cura e amore indiscutibili. Cito a memoria: Pane e ragù di salsiccia, Uovo salsa rosa e tabasco, Patè di fegatini alla veneziana, Insalata russa arrosto, Carpaccio di bue, pesto di rucola e grana, Trippa cozze e pecorino, Brandacujùn e battuto ligure, Come un toast (in versione carnivora o vegetariana), Nervetti alla milanese, formaggi e salumi selezionati, Ricotta al forno con marmellata di arancia al vermouth. I piatti sono tutti cotti al forno, perché il locale prima era un panificio e Vladi e Cesare hanno deciso di rispettare il genius loci. Quindi niente fornelli per la felicità (so fa per dire) della chef Carola Carboni, che si è dovuta letteralmente reinventare, e magari inizialmente non l’ha fatto volentieri ma ora sembra felicissima, anche perché come dice lo chef tristellato Niko Romito, è solo con i limiti che si cresce.
Si potrebbe raccontare Silvano per quello che vi si mangia, dicevo, ma in realtà vale più la pena farlo parlando di un locale confortevole e inclusivo come pochi, dai prezzi onesti e dalle porzioni generose, in cui è facile trovarsi a dialogare con il vicino (l’ultima volta seduto accanto a me c’era Michele Mozzati di Gino&Michele) di amori, calcio e altro cibo. Il servizio è sempre sorridente, in particolare lo è la brava Martina, i prezzi sono onesti, gli orari molto elastici (si può prenotare un tavolo per le 23, cosa impensabile nel 99 per cento dei locali milanesi, dove a quell’ora stanno passando lo straccio sul pavimento), il décor del locale da dopolavoro colto, con tanti dettagli che rubano gli occhi (non riesco a dimenticare un poster dedicato all’Amaro Ri-Costituente con l’immagine di Sandro Pertini). E poi si bevono ottimi vini naturali o comunque mai mainstream. Insomma, siamo davanti a uno di quei rari locali nel quale si allineano tutti i pianeti felici, a creare un posto dove se vai una volta vorrai tornare altre dieci. E infatti Silvano è sempre pieno e scommetterei che non si tratta di un successo passeggero.
Silvano, piazza Morbegno 2, tel. 0272193827.
Chiuso il lunedì e il martedì, gli altri giorni aperto dalle 18 a mezzanotte, il sabato e la domenica anche a pranzo con un menu fisso.