Il giorno dopo il terribile attentato che ha sconvolto la Russia il presidente Vladimir Putin interviene assicurando che i colpevoli saranno trovati e puniti. “Tutti gli autori – dice in un discorso in tv rivolto alla nazione – gli organizzatori e coloro che hanno commissionato questo crimine riceveranno una meritata e inevitabile punizione, chiunque essi siano e indipendentemente dal fatto che siano stati inviati. Affrontano un destino poco invidiabile: la punizione e l’oblio”.
Non cita mai l’Isis. Non è certo che gli autori siano i membri di quello che resta del sedicente Stato islamico, o terroristi che ad esso guardano idealmente. Però colpisce che il leader russo non parli di loro, neanche di sfuggita. Non ne è convinto? O, forse, guarda altrove?
Putin ha proclamato per domani, domenica 24 marzo, una giornata di lutto nazionale in Russia e ha promesso che tutti i responsabili saranno puniti, paragonandoli a nazisti. Ha definito l’attacco un “omicidio di massa” preparato con cura. Infine ha rivolto un appello ai russi: “Nessuno può scuotere la nostra unità, siamo di fronte a un massacro preparato del nostro popolo”.
Ha sottolineato poi che da ciò che è emerso sino ad ora (velocissima l’inchiesta) dalla parte ucraina del confine era stata creata “una finestra” per permettere ai quattro attentatori di attraversare il confine. Ghiotta occasione, per il Cremlino, di gettare discredito sulla nemica Kiev. Che se non ha organizzato direttamente l’attentato, tramava per accogliere i terroristi in fuga.
È un Putin indebolito quello che promette vendetta al suo popolo. Nel 1999, quando per la prima volta si era presentato al mondo come leader del Cremlino, aveva promesso al suo popolo di riportare ordine e sicurezza, oltre che a rimediare ai danni dei famelici oligarchi che si erano mangiati il Paese. Oggi, dopo diverse guerre e venticinque anni di potere, deve leccarsi le ferite. Il terrorismo è riesploso, nel cuore della capitale, seminando morte e distruzione. Il Paese da due anni è impegnato in una guerra sanguinaria contro l’Ucraina, che i russi neanche possono chiamare con il loro nome, guerra, definendola “operazione speciale”. Le elezioni le ha vinte lui, ovviamente. Ma su questo non potevano esserci dubbi. Navalny, uno dei suoi più acerrimi nemici, è morto e sepolto, dopo anni di carcere e un tentativo di avvelamento.
Intanto Putin stringe di nuovo la morsa, imponendo ulteriori misure antiterrorismo e antisabotaggio. “A Mosca e nella regione di Mosca, in tutte le regioni del Paese, sono state introdotte ulteriori misure antiterrorismo e antisabotaggio. La cosa principale ora è impedire a coloro che sono dietro questo sanguinoso massacro di commettere un nuovo crimine”. La sicurezza torna ad essere il nuovo mantra di Putin.
Ma i russi non si sentono al sicuro.