Putin a vita, caos o democrazia: cosa può succedere dopo il voto in Russia

Putin a vita, caos o democrazia: cosa può succedere dopo il voto in Russia

Come volevasi dimostrare, le elezioni russe hanno confermato l’esito plebiscitario per Vladimir Putin. Ciò significa che, salvo colpi di scena, i cittadini russi-detrattori e non-dovranno avere a che fare con la consueta routine dittatoriale. Per l’Occidente, vorrà dire restare ancora incastrati tra la necessità di porre fine alla guerra in Ucraina e quella di avere a che fare ncessariamente con il Cremlino, almeno fino al 2030. Salvo colpi di scena.

Putin a vita?

Questo scenario è quello che suggerirebbero gli esiti elettorali delle ultime ore. Non difficile da immaginare, considerando i gerontocrati a cui l’Unione Sovietica era solita affidarsi. Del resto, in casa si procede senza lode nè infamia: i nemici interni sono stati eliminati, l’economia è in difficoltà ma non allo sfascio, e ben presto l’Occidente potrebbe cedere nel suo sostegno a Kiev. What else?

Se si sposta il discorso sull’età, giunto alle 71 primavere, il presidente Putin nel 2030 di anni ne avrà 77: nulla che gli vieti di essere ancora in piedi e operativo, al pari dei suoi colleghi in terra americana. Alla luce di questo non ci sarebbero ragioni ostative, se non di salute, a un trono che continui fino alla fine dei suoi giorni. Uno scenario che aprirebbe alla più totale stagnazione del Paese e delle sue relazioni con l’Occidente, ma al quale forse conviene abituarsi. L’unico vero colpo di scena di questo regno senza fine potrebbe essere un ammorbidimento sul letto di morte, non tanto per umanità, quanto per via delle difficoltà che stagnazione e inflazione porteranno nel lungo periodo. Non una svolta da incendiario a pompiere, ma quantomeno un’attenuazione del peggio. Sempre presupponendo una certa razionalità residua, sulla quale nessuno è in grado di scommettere.

Una rivoluzione colorata per la Russia?

Immaginari futuri scenari per la Russia è molto complesso, soprattutto perchè anche i più esperti di “cose russe” in Occidente, hanno difficoltà a penetrare questo muro tenace fatto di legami politici complessi, un passato burrascoso, un’economia in difficoltà e quel sempiterno connubio il partito dei militari che non ha mai reso la Russia una vera democrazia contemporanea. Quello che però è certo è che la guerra in Ucraina è stata un’arma a doppio taglio, che ha reso più visibile di un tempo certe resistenze latenti, dei cui numeri per ora sappiamo ben poco. L’emergere di movimenti, soprattutto giovanili, che hanno protestato contro la guerra è comunque un segnale; così come le mogli e le madri sparute che chiedono notizie dei loro cari al fronte insidiano perennemente la vulgata del Cremlino; così come “il popolo di Navalny” in fila ai suoi funerali, la resistenza all’estero, il complesso caleidoscopio della guerriglia anti-Putin (si veda il caso dei Rospartizan o del Corpo dei volontari russi).

Quello che non conosciamo sono i numeri di queste sacche di resistenza e quanto possano essere in grado di ribaltare le sorti di una nazione sotto scacco: la risposta che abbiamo, per il momento, è poco, davvero poco. Ma la loro uscita allo scoperto, tuttavia, è e resta un’onta per il regime, che non può più fingere che tutto vada bene. Un aspetto con cui Putin dovrà fare i conti, anche se immaginare una rivoluzione di qualsivoglia colore in Russia è alquanto improbabile, almeno fino al 2030 e con questo stato di cose. Inutile, antistorico e fuori contesto ricordare la Rivoluzione: sono passati più di cento anni e numerose generazioni nel mezzo.

La Russia preda della fiamma nazionalista

Le cose, bisogna ricordarlo, potrebbero andare anche peggio, o almeno diversamente da come si immagina una svolta democratica. La Russia, infatti, nel dopo Putin o nella coda della vita politica del leader, non sarebbe immune alla svolta nazionalista. Più di qualcuno, infatti, ama ricordare che seppur breve, la marcia di Prigozhin ha avuto un grande impatto su quelle forze sommerse, che strizzano l’occhio al mondo militare e paramilitare, che latenti covano fuori da Mosca.

La marcia della Wagner, infatti, ha mostrato come Prigozhin non solo non fosse un caso isolato, ma che avesse dietro di sè la forza sufficiente ad essere seguito nella sua impresa. Questo aspetto, nonostante la misteriosa dipartita del capo della Wagner, ha mostrato due realtà strettamente connesse fra di loro: la prima, che ha rivelato come il malcontento delle forze che eseguono il lavoro sporco per Putin possano rivoltarsi contro se bistrattate (e considerando il prolungamento della guerra lo scenario si fa nuovamente probabile); la seconda, che le fiamme del nazionalismo, alimentate dallo stesso zar, difficilmente si placheranno tanto presto. E questa resta la principale porta aperta sul caos.

Certo, difficile pensare che un nuovo Prigozhin possa ripresentarsi nel breve periodo, considerando l’unicità del personaggio: ma l’ipotesi non è così peregrina. Per guardare ai nemici in casa basta scorrere il libro paga del Cremlino: fra i maggiori sospettati, Ramzan Kadyrov, ad esempio, in grado di destabilizzare Mosca con la bomba cecena in qualsiasi momento, qualora i propri desiderata non fossero evasi.

I tecnici al potere?

Una svolta ingloriosa, scialba, ma forse preferibile a eventi ancora più tumultuosi dagli esiti incerti (e infausti). Una realtà elefantiaca come quella russa è di per sè un colosso burocratico. Nulla vieta che questa possa essere la svolta incruenta di Mosca quando Putin sarà sul viale del tramonto. Una stretta cerchia di tecnocrati in grado di farsi strada mentre lo zar inizia a perdere smalto (presto o tardi accadrà), raccogliendo i frutti evidenti di anni di guerra all’estero e di isolamento politico. Qualcosa di simile al “pensionamento di Kruscev” nel 1964, magari con l’appoggio dall’estero, al fine di guidare una transizione degna, e non punitiva come quella post-1989. Un preambolo necessario alla riapertura dei negoziati con l’Occidente, al fine di ottenere un vero e proprio re-start, a beneficio delle relazioni diplomatiche e commerciali di Mosca.

Uno scenario certamente più futuribile di improbabili rivolte o rivoluzioni che, al momento, vedono effervescenza solo nei centri più importanti ed evoluti del Paese come Mosca e San Pietroburgo. Tuttavia, questa è una strada che richiede pianificazione, e che passa anche dalla tenuta di Putin in vecchiaia e da quanta energia sarà in grado di dedicare all’opposizione. Qualora ciò avvenisse, come ritengono numerosi analisti, l’Occidente dovrebbe verificare prima di fidarsi, cercando di saggiare l’humus politico dei nuovi burosauri di Mosca, prima di cedere su tutta la linea, vincendo la diffidenza cementata negli ultimi dieci anni.

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