Il pasticcio giallo-rosso-verde in Basilicata è degno di studi approfonditi. I veti, le resistenze, l’accordo in extremis e la scelta di scommettere su Domenico Lacerenza. Che si è reso subito protagonista di un disastro comunicativo che con il passare delle ore ha amplificato le perplessità del centrosinistra locale, con tanto di voci sull’ipotesi di ritirarsi dalla corsa come presidente della Regione. A fare da cornice è la rivolta partita da diversi iscritti del Pd che hanno rivolto durissime parole nei confronti dell’atteggiamento che i piani alti del partito hanno adottato pur di soddisfare la smania di trovare una sintesi con i grillini.
L’oculista Lacerenza è indubbiamente uno stimato professionista, ma è a digiuno di politica e le sue uscite non sembrano fotografare una personalità in grado di fare a spallate con il governatore uscente Vito Bardi e imporsi nella campagna elettorale. Sono bastate poche ore ed è stata sollevata in maniera netta una questione di merito e di metodo: numerosi attivisti, sindaci, sindacalisti e dirigenti politici del Partito democratico della Basilicata hanno esposto critiche sferzanti non solo per la decisione di convergere su Lacerenza ma anche per il piano d’azione messo in campo senza tenere conto delle sensibilità locali.
Lo sfogo di diversi iscritti al Pd è contenuto in un documento politico diffuso da Giovanni Petruzzi, coordinatore regionale Mozione Cuperlo Pd Basilicata, che è stato sottoscritto all’indomani dell’indicazione di Lacerenza a candidato presidente della Regione in occasione delle prossime elezioni fissate per il 21 e il 22 aprile. Nel testo si parla di una “oligarchica indicazione” arrivata “per sottostare agli incomprensibili veti” del Movimento 5 Stelle. L’accusa non si rifugia dietro mezzi termini e va dritta al punto: da una parte “mortifica le energie popolari” che nelle scorse settimane si erano aggregate attorno al progetto messo in campo da Angelo Chiorazzo (non gradito al M5S); dall’altra “svilisce il ruolo del massimo organismo di direzione politica del Pd di Basilicata“. Che, viene fatto notare, aveva indicato Chiorazzo come il miglior candidato possibile. Ma alla fine il suo nome, alla luce dei mugugni dei grillini, è saltato. Ed ecco il patatrac.
Pertanto nel documento si rivolge un appello alle forze politiche e civiche del centrosinistra: mettere in campo un’alternativa credibile a Bardi del centrodestra puntando su Chiorazzo o comunque su un profilo espressione del territorio. Il gruppo dei malpancisti fa sapere che se l’invito non sarà accolto a stretto giro allora si valuterà la possibilità di partorire autonomamente “un innovativo polo dell’orgoglio lucano“. E a quel punto nel bersaglio finirebbe anche quello che viene definito il “formato bonsai, romanocentrico, di centrosinistra“.
La situazione può segnare il de profundis del campo largo che, dopo la gasatura per la vittoria risicata di Alessandra Todde in Sardegna, ha fatto i conti con due docce gelate: la vittoria del centrodestra in Abruzzo e il caos per il candidato in Basilicata. Elly Schlein ama definirsi “testardamente unitaria” ma prima dovrebbe concentrarsi sulla tempesta interna al suo partito, visto che dalla Basilicata c’è un’onda di malcontento verso i vertici nazionali del Pd. L’individuazione verticistica di Lacerenza viene ritenuta offensiva per la dignità e l’autonomia del popolo lucano che si riconosce nel centrosinistra. È il capolavoro firmato Schlein a braccetto con Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli.