«Il fisco è una delle prime materie che abbiamo voluto affrontare, approvando una riforma attesa da 50 anni e con la quale ci poniamo l’obiettivo di disegnare una nuova idea di Italia, più vicina alle esigenze dei contribuenti, più attrattiva per le imprese, più attrattiva per gli investimenti».
È il giorno dell’orgoglio per Giorgia Meloni, il giorno della presentazione di una riforma fiscale che ormai è solidamente incardinata, una riforma che rappresenta una pagina di storia, visto che, come ricorda la premier, «per 50 anni è stata messa in un cassetto perché era troppo complessa da affrontare. Sono fiera che sia questo governo ad allineare l’Italia ai principali standard europei e consegnare ai cittadini un fisco più equo e responsabile», perché «lo Stato deve sapere usare il criterio del buon padre di famiglia».
La platea è quella delle grandi occasioni. Nell’aula dei Gruppi Parlamentari ci sono naturalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il viceministro Maurizio Leo, ma anche parlamentari, giornalisti, grand commis di Stato e personalità politiche come Gianni Letta e Giulio Tremonti. L’obiettivo è raccontare quella «rivoluzione gentile» che vuole tendere la mano agli onesti e uscire dalla logica di tartassare chi crea ricchezza, cancellando lo spettro del «fisco nemico».
Il saluto introduttivo è quello del presidente della Camera, Lorenzo Fontana che identifica «i tre principi guida alla base della riforma: chiarezza, certezza e semplicità». Sul palco sale poi Giorgia Meloni. «La riforma fiscale è uno degli strumenti attraverso i quali lo Stato può prosperare, mettendo le aziende nelle condizioni migliori per produrre ricchezza. Non abbiamo amici a cui fare favori, non aiutiamo i furbi, ma solo gli italiani onesti che pagano le tasse scandisce la presidente del Consiglio -. E anche gli italiani onesti in difficoltà meritano di essere messi in condizione di pagare ciò che devono».
Giorgia Meloni non la pensa come l’allora ministro del governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa. «Non penso e non dirò mai che le tasse sono una cosa bellissima, sono bellissime le libere donazioni e non i prelievi imposti per legge». Ed è la ragione per cui c’è «una grande responsabilità» nel «gestire risorse che non possono essere usate per garantirsi facile consenso e lasciare chi viene dopo a ripagare quella irresponsabilità».
Sulla riforma fiscale «ci hanno accusato di voler aiutare gli evasori, di voler fare condoni immaginari, di voler allentare le maglie del fisco. A smentire queste accuse ci sono i numeri», ricorda Meloni visto che «il 2023 è stato un anno record nella lotta all’evasione: sono stati recuperati 24,7 miliardi, 4,5 in più rispetto all’anno precedente. Con altri 6,7 frutto dell’attività di recupero per altri enti si arriva alla cifra record di 31 miliardi. Questo grazie al lavoro della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate ma anche grazie a norme che abbiamo introdotto, come quelle contro il fenomeno odioso delle attività apri e chiudi».
Un fisco gentile non significa, quindi, fare sconti agli evasori, come gli effetti della riforma dimostreranno. «Il vantaggio che abbiamo è il tempo: un orizzonte di legislatura che ci consente di fare le cose per bene e nell’interesse degli italiani». Giancarlo Giorgetti a sua volta sottolinea i tempi record dell’approvazione della Legge Delega, ma anche la necessità di ripensare il fisco su basi nuove rispetto al passato, evitando le facili scorciatoie. «In questa riforma non si tassa il sale, che è stata la base imponibile per millenni: né con il sale né con il fumo creiamo alcun tipo di rivoluzione sociale, tantomeno politica: oggi la base imponibile è cambiata, e fa riferimento al mondo dei dati». E Maurizio Leo fa una promessa importante: «Siamo intervenuti sui redditi medio bassi ma ora dobbiamo occuparci del ceto medio. Chi guadagna 55mila euro non può essere considerato un super ricco e questi soggetti oggi pagano oltre 50% di tasse. Serve un cambio di passo».