Le mosse verso la flat tax per aiutare il ceto medio

Le mosse verso la flat tax per aiutare il ceto medio

Una riforma fiscale improntata sul principio di «umanità» sia nelle pretese che nel sistema sanzionatorio non può non compiersi con un abbassamento del peso della tassazione sul Pil. È questo il messaggio che ieri con diverse sfumature hanno lanciato sia il premier Giorgia Meloni che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il suo vice Maurizio Leo.

Ed è proprio dalle parole di quest’ultimo che bisogna partire per capire quali strategie si possano attuare in un 2024 che, per molti versi, non sarà facile, anche per il ritorno del Patto di Stabilità. «Siamo intervenuti sui redditi medio bassi ma ora dobbiamo occuparci del ceto medio», ha detto aggiungendo che «chi guadagna 55mila euro non può essere considerato super ricco e questi soggetti oggi pagano oltre 50% di tasse». Ecco perché il governo intende «trovare le risorse». L’obiettivo è aiutare i contribuenti che non beneficiano del taglio del cuneo che si ferma a 35mila euro lordi e che perdono anche il beneficio del taglio delle aliquote Irpef. Sopra i 50mila euro, infatti, scatta il 43% e si annulla il beneficio della riforma con uno stop alle detrazioni.

Nella fascia 35-55mila euro si trovano circa 2,5 milioni di contribuenti che nel 2022 hanno pagato sui redditi 2021 ben 38 miliardi di Irpef, ossia il 21,8% del totale. Abbassare l’aliquota del 43% di un solo punto costa più di 4-5 miliardi perché è proprio in questa fascia che si paga tutto o quasi in quanto l’aliquota effettiva Irpef sfonda il 35%. I benefici, così facendo sarebbero minimi. Se, invece, si estendesse fino a 55mila euro il trattamento che oggi si concede fino a 35mila, con la stessa cifra si concederebbe proprio a questa fascia un sollievo di almeno 6-700 euro annui all’incirca. Il regime di flat tax si avvicinerebbe perché si avrebbe un prelievo medio del 30% circa fino a 55mila euro.

Il problema è dove trovare queste risorse. La riforma 2023 così com’è costa 16 miliardi e, al momento sono disponibili, solo 3,5 miliardi derivanti dalla soppressione dell’Aiuto alla crescita economica. Al concordato preventivo biennale che potrebbe fruttare anche il doppio rispetto a quanto inizialmente preventivato (se funzionerà, ma si saprà a metà ottobre, si potrebbe arrivare a 4 miliardi) si aggiungerà l’attività di recupero del tax gap a partire dalle lettere di compliance delle Entrate (i solleciti amichevoli a mettersi in regola) che potrebbero fruttare almeno 3 miliardi. A questo si sommerà l’azione, ribadita ancora ieri, di chiusura del tax gap che Leo ha stimato tra gli 80 e i 100 miliardi. Si ricordi che il 2023 si è chiuso con un recupero record dell’Agenzia delle Entrate Riscossione con 24,5 miliardi incassati che salgono a 31 miliardi includendo anche gli enti che non si affidano all’agente pubblico.

Se si includono, almeno in una prima fase, i proventi dell’attività di recupero, sarà possibile anno per anno confermare i tagli delle tasse. Man mano che si andrà avanti una simile riforma dovrebbe essere in grado ai autofinanziarsi almeno parzialmente perché le minori imposte pretese si traducono spesso in maggiori consumi o in risparmio comportando un incremento del gettito Iva o delle imposte sostitutive sui capital gain o su altre rendite.

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