Quei contatti segreti della Santa Sede per il negoziato

Quei contatti segreti della Santa Sede per il negoziato

I telefoni della Segreteria di Stato Vaticana hanno squillato per tutto il pomeriggio. La preoccupazione maggiore, da dentro le sacre mura, ma anche da alcune cancellerie internazionali, era che si potesse creare un nuovo e pericoloso incidente diplomatico con Kiev. Al centro della questione l’intervista rilasciata da Papa Francesco alla Radiotelevisione Svizzera Italiana. Un colloquio registrato a Santa Marta all’inizio di febbraio scorso e diffuso oltre un mese dopo, a quanto pare per motivi di palinsesto. A far discutere, facendo il giro del mondo, una frase del Pontefice in cui, parlando della necessità di tutelare il popolo, Bergoglio ha usato la metafora della «bandiera bianca», proposta dall’intervistatore, per ribadire la necessità di sedersi al tavolo del negoziato con coraggio. Una posizione, questa, che Francesco e la diplomazia della Santa Sede, promuovono da sempre, tanto da essersi anche proposti, purtroppo senza ricevere una risposta positiva, come mediatori per questo conflitto e per quello in Medio Oriente.

«Negoziato non significa resa, ma coraggio» ha detto Francesco in un passaggio dell’intervista; una frase, questa, a quanto pare sfuggita a molti. E così il colloquio è stato rilanciato dalle agenzie di stampa di tutto il mondo con una lettura ben diversa: «Il Papa chiede a Zelensky di arrendersi». Apriti cielo. Da quel momento si son vissuti Oltretevere attimi di nervosismo misto ad angoscia tanto che, dopo le dovute verifiche, è stato interpellato persino lo stesso Papa Francesco per metterlo al corrente della situazione e chiedergli come poter intervenire per fermare le polemiche, evitando così un terremoto diplomatico. Bergoglio ha subito chiarito al suo interlocutore che nell’intervista non ha mai avuto intenzione di chiedere la resa dell’Ucraina ma che, per l’appunto, ha usato quell’immagine della bandiera bianca per indicare la fine delle ostilità e l’avvio di una tregua, raggiunta con il coraggio del negoziato. Insomma, nessuna richiesta a Kiev di fermarsi e ammettere la sconfitta, ma soltanto l’ennesimo appello a parlare con Mosca e trovare una soluzione pacifica. A chiarire le cose una nota, diffusa sempre nel pomeriggio di sabato, dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni.

E se a preoccupare era da un lato la reazione dell’opinione pubblica e dei fedeli di tutto il mondo, dall’altro lato il grande timore della Segreteria di Stato era che quelle parole, riportate in modo errato, potessero suscitare improvvise esternazioni contro il Papa da parte di Kiev e arrivare, senza un adeguato chiarimento, sulla scrivania di Zelensky, incrinando, se non addirittura interrompendo il delicato rapporto che in queste ultime settimane è stato messo in piedi tra la Santa Sede e Kiev. Si parla di contatti riservatissimi grazie alla nunziatura apostolica in Ucraina e al lavoro sul campo del cardinale Matteo Zuppi. Passi in avanti che potrebbero portare a degli sviluppi positivi per la fine della guerra. Il Papa ci sta provando da tempo: quando nel maggio dello scorso anno Zelensky era stato ricevuto in Vaticano, il Pontefice gli aveva detto chiaramente: «Presidente, se lo ritiene noi siamo disponibili per la mediazione». Peccato che soltanto poche ore dopo quell’atteso incontro, il leader ucraino aveva sbattuto subito la porta in faccia al Santo Padre: «Rispetto per il Papa, ma non abbiamo bisogno di mediatori, abbiamo bisogno di una pace giusta». Francesco, durante quell’incontro privato, non aveva fatto altro che ribadire la necessità urgente di un negoziato, confermando allo stesso tempo le responsabilità dell’aggressore.

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