Niente “vento cambiato” nè “effetto Sardegna”: il flop di Schlein e Conte in Abruzzo

Niente "vento cambiato" nè "effetto Sardegna": il flop di Schlein e Conte in Abruzzo

E menomale che il vento era cambiato. Mai una frase dai toni eccessivamente trionfalistici è invecchiata così male nel giro di pochissimi giorni come quella pronunciata da Elly Schlein subito dopo la vittoria risicata di Alessandra Todde in Sardegna. Sono trascorse appena due settimane scorse da quella tornata elettorale che il campo largo (o “larghissimo” che dir si voglia) deve fare i conti con una scoppola alle urne abruzzesi che, con tutta la probabilità, nemmeno il militante di sinistra più pessimista poteva minimamente immaginare. Già, perché la parentesi sarda non ha registrato per niente un’inversione di tendenza a livello nazionale, bensì il risultato di una serie di concause: una sorta di allineamento dei pianeti dettato principalmente dai pasticci combinati dal centrodestra dopo il cambio in corsa di Christian Solinas con Paolo Truzzu.

Un errore che non si è ripetuto con la riconferma in Abruzzo del candidato Marco Marsilio, autore poi del bis in Regione. Chi ha invece preso una topica colossale è stata proprio la segretaria del Partito Democratico, in compagnia di Giuseppe Conte, pensando che dai festeggiamenti di Cagliari fosse nata una valida alternativa al governo presieduto da Giorgia Meloni. Niente da fare invece: quindici giorni sono bastati e avanzati per far tornare con i piedi per terra i leader di Pd e Movimento 5 Stelle. Il Cannonau e il Mirto bevuti nella notte del 26 febbraio non hanno fatto molto bene a entrambi in chiave analisi della vittoria, probabilmente perché non abituati a questo tipo di esame. Gli attacchi rivolti dalla Schlein a Marsilio in quanto non abruzzese doc le si sono rivolte contro. La narrazione fasulla (e strumentale) di una sinistra in netta rimonta ha fatto il resto.

La striscia delle sconfitte nelle regioni con un candidato in comune (Umbria, Liguria, Calabria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Molise) riprende dopo la sbornia della Sardegna. E il ko di ieri sera fa ancora più male rispetto agli altri sei territori persi, perché in questo caso c’era una prima volta assoluta di un candidato sostenuto contemporaneamente da dem, grillini, verdi, sinistra estrema, Azione e Italia Viva. Se l’ammucchiata rossa non ce l’ha fatta in Abruzzo, come pensa di vincere le future elezioni politiche con il medesimo schema, considerando che sulla politica estera ed economica Calenda e Conte non possono nemmeno prendersi un caffè insieme? Nel dettaglio, i numeri della disfatta in Centro Italia sono dir poco impietosi, qualunque sia il confronto con le tornate precedenti. Il candidato unitario del centrosinistra, Luciano D’Amico, raccoglie solo il 46% dei voti, contro il 51,5% del 2019 che sarebbe stata la somma di Giovanni Legnini (Pd) e Sara Marcozzi (5 Stelle), all’epoca sfidanti del primo Marsilio.

A contribuire maggiormente al crollo dei consensi sono stati i pentastellati, passati dal 19,7% delle Regionali di cinque anni fa (118.287 voti) al 18,5% delle Politiche del 2022 (115.456) fino al 6,5% di ieri (circa 43mila). Il Partito Democratico aumenta le proprie preferenze e consolida la leadership interna ai danni di Conte, ma fallisce nell’operazione di ribaltare il colore della giunta uscente: evento che fino a ieri si era sempre verificato in Abruzzo da quando è stato introdotto l’elezione diretta del presidente di Regione. Inoltre gli ultimi dem vincitori in una regione rimangono Eugenio Giani, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano nel settembre 2020. E pensare che la settimana in cui siamo appena entrati dovrà essere (per forza di cose) quella decisiva per sciogliere la riserva sul candidato in Basilicata. Si voterà il 21 e 22 aprile e al momento nel campo largo c’è come candidato il democratico Angelo Chiorazzo, per nulla gradito dai grillini lucani. La presentazione delle liste scade tra dieci giorni e nulla fa presagire a un’altra convergenza verso una figura civica da sostenere con spirito unitario: soprattutto dopo la fresca batosta subita. Per la felicità di Vito Bardi e del centrodestra, che – tolta la Sardegna – prosegue nel proprio ein plein ai seggi che dura dalle Politiche del 25 settembre 2022. Altro che “matite che vincono sui manganelli“.

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