«Il mercato delle Sos (Segnalazione di operazione sospetta, ndr) non si è fermato neanche in questi giorni in cui sono usciti gli articoli sulla fuga di notizie», dice un allarmato Procuratore capo di Perugia Raffaele Cantone in audizione alla commissione Antimafia in merito al presunto dossieraggio, indagine nata su segnalazione del ministro della Difesa Guido Crosetto con al centro il finanziere Pasquale Striano, che avrebbe ceduto informazioni sensibili a diversi cronisti.
Ma cosa sono le Sos, e perché qualcuno «continua a vendere sottobanco queste informazioni», come sottolinea Cantone? La Sos nasce quando la banca verifica che un’operazione bancaria – versamenti, prelievi, bonifici eccetera – riscontra una serie di «anomalie», codificate da una serie di parametri. Facciamo un esempio: chi ritira più di 3mila euro in contanti viene segnalato all’Uif, l’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia, che deve valutare la bontà di questa segnalazione, per capire se è o meno indice di un possibile reato. Pure comprare casa, contrarre un mutuo o chiedere un prestito importante a una banca fa scattare la Sos, anche in assenza di comportamenti anomali. L’accesso al sistema Siva (la banca dati dove confluiscono le segnalazioni su operazioni «sospette») è sempre tracciato e va sempre autorizzato.
Delle centinaia di migliaia di segnalazioni (l’anno scorso sono state oltre 150mila) sono una piccolissima percentuale finisce nella scrivania della Dia e della Guardia di Finanza. Come spiega una fonte al Giornale, i cosiddetti «falsi positivi» nelle Sos sono tra il 90 ed il 95% secondo uno studio della Deloitte-UOB, financo il 98% secondo un report di McKinsey&Company. «Colpa di uno scarso livello di cultura dell’antiriciclaggio, combinato con processi di verifica della clientela non sempre adeguati, che finiscono così per appesantire il carico di lavoro sull’Uif», ci dice la fonte.
All’inizio degli anni Novanta l’intuizione di un software che potesse intercettare queste anomalie fu frutto di una collaborazione tra l’allora governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi (nel tondo), il Procuratore distrettuale Antimafia Pier Luigi Vigna e l’Abi, in nome del follow the money (segui i soldi) di Giovanni Falcone, che oggi è il mantra che anima le indagini della nuova Dia guidata dal generale Michele Carbone. D’altronde, l’Italia è sempre stata all’avanguardia nella lotta al riciclaggio, tanto che la sede dell’Authority europea è stata contesa da Roma ma è finita a Francoforte. Oggi la normativa sull’anti money laundering è regolata da una Direttiva europea (la sesta) che ha previsto una serie di norme sempre più severe in materia di antiriciclaggio, lotta al finanziamento del terrorismo e all’elusione delle sanzioni europee. I cosiddetti «soggetti obbligati» (banche, intermediari finanziari eccetera) sono tenuti a verificare la reale identità dei beneficiari di ogni singola operazione bancaria. Quando ci sono dei dubbi, scatta la Sos. Ma se solo un numero esiguo viene analizzato a caccia di reati, che fine fanno le altre Sos? Ecco il problema. Le informazioni finanziarie relative ai soggetti politicamente esposti, siano essi Vip, politici o imprenditori – come le personalità coinvolte dal presunto dossieraggio – sono merce molto preziosa, perché possono essere rivelatrici di comportamenti delittuosi o magari semplicemente di una gestione del proprio denaro legittima ma magari inopportuna o foriera di illazioni. Violare la segretezza di queste informazioni, che non sempre segnalano un reato, è un problema per la politica ma soprattutto per la lotta al riciclaggio, che senza questo strumento fondamentale sarebbe di molto indebolita.