Questo articolo comparve la prima volta su Il Giornale, il 26 gennaio 1994. Su tutta la pagina il titolo Il Cavaliere scioglie le briglie. L’occhiello recitava: L’accordo tra la Lega e Segni divide il PPI, mentre il Carroccio presenterà candidati, anche da soli, in tutto il Nord; il sottotitolo: Oggi Berlusconi annuncia con un messaggio in TV il suo ingresso in politica. È stato poi ripubblicato, con il titolo Berlusconi entra in politica. L’anomalia non è lui e il sommario «“Prima o poi mi toccherà discendere personalmente in campo” diceva col tono di uno costretto al passo, suo malgrado, senza entusiasmo e qualche rammarico», in Il diario di Vittorio Feltri. 1990-2004. 15 anni che hanno cambiato l’Italia e poi ripreso nel Meridiano sul giornalismo di Mondadori dedicato agli anni 1968-2001. Lo ripubblichiamo ora, a trent’anni dalla discesa in campo del Cavaliere, come testimonianza di quell’epoca e di come la scommessa liberale di Silvio Berlusconi, che allora pochi capirono, sia stata poi fondamentale per la politica a venire.
È successo quello che non poteva non succedere: Silvio Berlusconi, l’uomo delle televisioni commerciali e dell’editoria, ha deciso di cambiare mestiere. Già, perché la politica è sempre stata un mestiere, lo è ancora e speriamo che presto non lo sia più. Il capo della Fininvest lo andava dicendo da tempo, almeno sei mesi: «Prima o poi mi toccherà di scendere personalmente in campo». E lo diceva col tono di uno che, suo malgrado, senza entusiasmo e qualche rammarico, deve abbandonare le abituali occupazioni per andare in soccorso a dei parenti un po’ sciocchi ficcatisi nei guai.
Il tono era scocciato, ma dissimulava una certezza: che quei parenti sciocchi o li salvava lui o non li salvava nessuno. Non sappiamo se sarà così. Ma sappiamo che Berlusconi è fermamente convinto che così sarà. Perciò non abbiamo mai dubitato, neanche quando nicchiava, chiedeva consigli a destra e a sinistra (anzi, no: a sinistra mai), cercava conferme e sollecitava incitamenti a buttarsi; non abbiamo mai dubitato che, alla fine, il Cavaliere (come lo definiscono pieni di deferenza quelli del suo giro) avrebbe accantonato ogni indugio, ogni prudenza e si sarebbe lanciato spavaldamente nella più folle corsa che una persona con tutti i fili attaccati possa correre: quella elettorale.
Questo articolo comparve la prima volta su Il Giornale, il 26 gennaio 1994. Su tutta la pagina il titolo Il Cavaliere scioglie le briglie. L’occhiello recitava: L’accordo tra la Lega e Segni divide il PPI, mentre il Carroccio presenterà candidati, anche da soli, in tutto il Nord; il sottotitolo: Oggi Berlusconi annuncia con un messaggio in TV il suo ingresso in politica. È stato poi ripubblicato, con il titolo Berlusconi entra in politica.
L’anomalia non è lui e il sommario «“Prima o poi mi toccherà discendere personalmente in campo” diceva col tono di uno costretto al passo, suo malgrado, senza entusiasmo e qualche rammarico», in Il diario di Vittorio Feltri. 1990-2004. 15 anni che hanno cambiato l’Italia e poi ripreso nel Meridiano sul giornalismo di Mondadori dedicato agli anni 1968-2001. Lo ripubblichiamo ora, a trent’anni dalla discesa in campo del Cavaliere, come testimonianza di quell’epoca e di come la scommessa liberale di Silvio Berlusconi, che allora pochi capirono, sia stata poi fondamentale per la politica a venire.
Farà bene Berlusconi a partecipare alla competizione? Farà male? Ad ascoltare i suoi amici, i più sinceri, quelli che gli vogliono bene disinteressatamente, egli sta per commettere l’errore più grosso della sua vita. E aggiungono che solo un matto accetta il rischio di perdere un impero, quale il suo è, per tentare di conquistare una repubblichetta squalificata e sull’orlo del fallimento. Ad ascoltare i nemici, poi, la sua sfida al sacrario della politica, nel quale finora sono stati ammessi solamente gli addetti ai lavori, i sacerdoti delle tessere; ad ascoltare loro, soprattutto a leggere i loro giornali, Silvio non solo è un pazzo accecato dal potere, ma addirittura un baro che siede al tavolo della politica con tre reti televisive e un gruppo editoriale nei polsini. Se infine si considera la campagna di stampa, feroce e disordinata, che si è scatenata contro il Berlusconi fondatore di Forza Italia e candidato leader di partito; una campagna di stampa che lo ha dipinto come il pericolo pubblico numero uno; se si considera tutto questo – e molto abbiamo taciuto per brevità -, la risoluzione del principe di Arcore appare come un suicidio eccessivamente macchinoso per essere apprezzato persino da chi lo desidera.
Ma proprio perché tutto concorre a dargli torto – torto marcio – noi pensiamo che abbia ragione Berlusconi. Ha contro amici e nemici. Ha contro il Palazzo. Ha contro i professori del manuale Cencelli. Ha contro i colleghi. Ha contro i giornali (anche i suoi).
Ha contro le TV (anche le sue).
Ha contro mezzo mondo. Soltanto mezzo, però. E lui che è un calcolatore, come calcolatori sono tutti quelli che hanno dimestichezza con il successo, punta proprio su questo: l’altro mezzo mondo che contro non gli è.
È il mondo della gente comune, che non fa opinione, ma ne ha una precisa benché non la esprima se non sulla scheda; il mondo degli imprenditori, piccoli e grandi, che non sono rappresentati dalla Confindustria; il mondo dei cittadini che lavorano onestamente e pagano le tasse anche sapendo di pagarne troppe e ingiustamente; i cittadini che rispettano i semafori e i divieti di sosta, che non si esibiscono in corteo, che non frequentano le piazze di Santoro, che mantengono la famiglia e non si fanno assistere da uno Stato che saccheggia le buste paga e non dà nulla in cambio, se non la pensione a chi non la merita, ospedali e scuole che non funzionano, una burocrazia arrogante e crudele.
Questo mezzo mondo potrebbe dare la vittoria al matto. Che sarebbe poi la vittoria – o la rivincita – delle classi medie che credono in una grande coalizione moderata, in un grande partito nel quale collaborino, con Forza Italia, la Lega, gli ex democristiani (non di sinistra), i liberali sopravvissuti al flagello di Altissimo e De Lorenzo, le truppe di Fini addomesticate sotto il tendone di Alleanza Nazionale.
L’anomalia non è Berlusconi in politica. L’anomalia è che per costituire un polo antitetico a quello di sinistra, ci sia bisogno di lui.
Ma anche questo Paese, che abbiamo ereditato dai signori delle segreterie, è un’anomalia.