Tra la folla di moscoviti anti-Putin ai funerali di Navalny e la drammatica crisi di Gaza, lo happening romano rischia di finire in secondo piano.
Ma Elly Schlein ha puntato moltissimo sul congresso dei Socialisti europei, che si è aperto ieri con un omaggio al monumento al martire antifascista Giacomo Matteotti, ed è proseguito con una cena di gala in Campidoglio, ospiti del sindaco Pd di Roberto Gualtieri. E che avrà oggi il proprio clou nell’avveniristica cornice della Nuvola di Fuksas, alla presenza di molti capi di governo europei, dal tedesco Scholz allo spagnolo Sanchez al portoghese Costa. Un evento più mediatico che politico: serve a ufficializzare la scelta già nota dello «Spitzenkandidat» (il lussemburghese Schmit, scarsa notorietà e zero chance) Pse alla guida della Commissione Ue, e a varare il «manifesto» per le elezioni europee.
Ma serve soprattutto alla segretaria Pd (che lo ha ribadito negli incontri bilaterali avuti ieri con i diversi leader) per ottenere una legittimazione internazionale come capo dell’opposizione a Giorgia Meloni. Leadership che in patria viene attivamente contrastata dai 5S, pronti a contenderle i consensi nel confuso elettorato progressista. Schlein ha chiesto e ottenuto che il congresso si svolgesse a Roma, proprio con l’argomento che l’Italia di Meloni è il principale laboratorio della destra europea, che assedia il duopolio socialista-popolare nella Ue. «Il Pse – dice – è l’unico argine all’avanzata delle destre e al rischio di ritorno del fascismo». Poi, rivolta ai Popolari, accusa: «Bisogna contrastare il processo di normalizzazione dell’estrema destra». Il candidato socialista Schmit, al suo fianco, ribadisce l’altolà: «Non ci potrà mai essere un compromesso fra noi e la destra. Mai, e poi mai. Non è possibile nessuna alleanza con l’estrema destra», aggiunge, «e Meloni è estrema destra». Affermazioni impegnative: il messaggio è che se il futuro capo della Commissione (in pole position per il bis c’è la popolare Ursula von der Leyen) cercherà l’appoggio di governi come quello italiano, il Pse non sarà della partita.
Per Schlein sarebbe un problema far parte di una maggioranza Ue insieme a Meloni. Ma a Bruxelles, in verità, la questione viene presa con qualche scetticismo in più: non molti credono che il Pse – se riuscisse a mantenere il proprio peso nel nuovo Parlamento – sarebbe davvero disposto a restare per la prima volta fuori dal Grande Gioco delle cariche Ue, anche se il Ppe aprisse alla collaborazione con i sovranisti. Ma la campagna elettorale ha ovviamente le sue esigenze, e per Schlein quella di apparire come il baluardo anti-Meloni dietro cui si raduna il progressismo continentale è prioritaria. Tanto più che il suo vero antagonista elettorale, ossia Giuseppe Conte, in Europa non ha né babbo né mamma ed è stato respinto da tutte le famiglie politiche in cui ha cercato di entrare. E però Schlein evita ogni occasione per criticare l’avversario interno, anche sul terreno più facile, e persino doveroso. La segretaria Pd esprime la propria «solidarietà ai cittadini russi» accorsi alle esequie di Navalny, sorvolando sul silenzio di tomba dei 5Stelle sull’argomento. Poi manifesta «stupore» perché «nel governo c’è ancora chi ha posizioni ambigue su Putin». Peccato che i suoi alleati Cinque Stelle siano gli unici che nel Parlamento europeo hanno votato contro gli aiuti all’Ucraina, con lo stesso Giuseppe Conte che lo ha apertamente rivendicato e – dopo aver deriso pubblicamente Zelensky per come si veste – ha stigmatizzato chi (ossia tutta Europa) auspica una «sconfitta» di Putin.