– È scattata l’inchiesta sugli scontri tra agenti e studenti con le relazioni che sono già sul tavolo della procura. Se vi sono stati degli errori nella catena di comando, sia chiaro, sarà la stessa polizia a chiarirlo. Ma qui il problema è che abbiamo circa 15 poliziotti che ora rischiano di essere indagati. Tre questioni. Primo: tutto sarebbe filato liscio se solo gli studenti avessero rispettato le norme, comunicando l’intenzione di manifestare e permettendo alle autorità di predisporre adeguate attività di ordine pubblico. Secondo: una volta che il blocco di polizia era stato imposto – giusto o sbagliato che fosse – sarebbe bastato tenersi a tre metri di distanza dagli agenti per evitare di ritrovarsi un manganello in testa. Terzo: è assurdo che si indaghi su quei lavoratori, pagati poco più di 1400 euro al mese. A questo punto, cari poliziotti, alzate le mani. Fateli passare. Buttate pure manganelli e caschi. Lasciate liberi i manifestanti di fare ciò che vogliono, dove vogliono. Però, se poi si verifica un assalto ad un luogo sensibile, come successo con la sede della Cgil, o se i black bloc spaccano le vetrine e distruggono la banche, tipo ad expo 2015, non venissero ad accusare la polizia di “non aver fatto nulla” per impedirlo.
– L’Italia è quel Paese in cui, in pochi mesi, passi dall’essere uno sconosciuto generale con mille encomi a diventare una sorta di appestato. È la parabola del generale Roberto Vannacci, ex stimato comandante, finito per colpa di un libro sulla scena politica, forse candidato leghista e infine indagato prima per presunte spese pazze e poi per istigazione all’odio razziale. Guarda caso a pochi mesi dalla presentazione delle liste. Non entreremo nel dettaglio dell’indagine per peculato e truffa, visto che ogni garantismo ci impone di considerarlo innocente fino a prova contraria. Diverso il caso dell’indagine per istigazione all’odio razziale, perché qui entriamo nel campo delle opinioni. Il libro del generale può essere condivisibile o meno, può avere parti ragionevoli e altre molto meno, può essere scritto male o bene. Ma le idee, per quanto odiose, si discutono, si combattono si dibattono. Non si processano. Altrimenti tutto finisce col puzzare di cacca sparata dal ventilatore.
– Che poi ho idea che l’indagine per “istigazione all’odio razziale”, molto ad orologeria, avrà un unico effetto: quello di rendere Vannacci un martire del perbenismo e del giustizialismo. Una veste perfetta, a destra, per affrontare le elezioni.
– Non ho la minima idea di come sia morto Alexei Navalny. La verità forse la sanno davvero in pochi. Fatto sta che il caso del dissidente russo ha mostra nuovamente la pochezza della stampa nostrana che tante prediche fa alle presunte “fake news” dei social e poi finisce col sparare a nove colonne notizie tutt’altro che verificate, salvo poi dimenticarsi di dare pari importanza alle presunte smentite. Vi ricordate la storia di Navalny ucciso da un pugno al cuore in stile Kgb che manco in una film di James Bond? Ecco: secondo i servizi di sicurezza ucraini, quindi non accusabili di puntinismo, il dissidente sarebbe andato all’altro mondo per un coagulo di sangue. Vero? Falso? Boh, di sicuro più attendibile di Vladimir Osechkin, il fondatore del gruppo per i diritti umani gulagu.net il quale, citando una presunta fonte della prigione in Siberia, aveva diffuso la storia del “pugno unico”. Ma ovviamente i nostri grandi giornali si sono ben guardati da dargli pari credito.
– Una studentessa si è incatenata ai cancelli della Prefettura per protestare contro le manganellate ricevute dagli studenti a Pisa. Secondo “Cambiare Rotta” – Organizzazione giovanile comunista – in Italia ci sarebbe una “precisa strategia governativa veicolata dal Ministero dell’Interno per reprimere i movimenti studenteschi e le loro rappresentanze ben prima dello scoppio del conflitto in Palestina”. Pagliacciata. Ma il bello è che c’è pure chi gli va dietro.
– Che meraviglia i social. Dopo la notizia della separazione e dopo l’imbarazzante intervista al Corriere della Sera, su Chiara Ferragni e Fedez è calato un giorno di silenzio complice il testa a testa in Sardegna. Eppure c’è una notizia meravigliosa, che vale la pena leggere, perché risolleva lo spirito: online è stata organizzata una veglia di preghiera di 48 ore per salvare il matrimonio in crisi tra Ferragni e Fedez. Hanno aderito già 70mila persone: magico.
– Sulle elezioni in Sardegna faremo un’analisi più accurata domani. Ma vinca chi vinca, visto che il distacco sarà comunque millimetrico, di certo si possono dire tre cose. Primo: Giorgia Meloni dovrà capire che avere tanti voti a livello nazionale, molti dei quali legati alla propria figura, non necessariamente a livello locale si traduce in preferenze per i propri candidati. Il fatto che Truzzu abbia raccolto molti meno voti delle liste a lui collegate la dice lunga sul fatto che, forse, non fosse la migliore carta da giocare o non abbastanza forte da tenere insieme le varie forze della coalizione. Mi sa che FdI dovrà dare maggior ascolto agli alleati.
– Secondo: non iniziate a preoccuparvi per le elezioni europee di giugno. La Sardegna è relativamente piccola, si votava per l’amministrazione locale in cui conta molto il volto del candidato presidente e poi da decenni sull’isola vige il sistema dell’alternanza. Oggi vince la destra, domani il centrosinistra. Insomma: non è un allarme per Meloni, magari un piccolo scivolone, ma niente allarmismi.
– Terzo: Elly Schlein canterà vittoria, ma non può essere felice fino in fondo. Per riuscire a impensierire il centrodestra non solo deve unirsi al Movimento Cinque Stelle, ma deve anche cedere a loro la guida del “Campo Largo” (Alessandra Todde, candidata alla guida della Regione, è grillina di nascita). Inoltre, non è riuscita a tenere insieme tutte le forze della sinistra che le avrebbero regalato una larga vittoria. Insomma: bene, ma non benissimo.