Qui giace Joséph de Nittis, morto a 38 anni nella piena giovinezza, in piena gloria come gli eroi e i semidei». L’epigrafe, fatta incidere da Alexandre Dumas sulla lapide dell’artista barlettano scomparso prematuramente a Saint-Germain-en-Laye, diceva la verità. De Nittis, considerato da gran parte degli storici l’unico grande impressionista italiano, ebbe una vita breve ma intensa, gioiosa e gloriosa. Fortemente mediterraneo nell’indole ma apertissimo al mondo che stava rapidamente decollando verso la modernità, fu un italiano tra i pochi ad essere ammirato in vita da quegli stessi artisti che a Parigi si facevano pionieri dell’avanguardia. Per averne un assaggio, basta leggere ciò che scrisse Emile Bergerat di uno dei suoi più celebri capolavori realizzati nel periodo londinese, quella veduta di Westminster che gli fece conferire a Parigi la prestigiosa Legion d’Honneur: «L’Abbazia emerge leggera come un castello di vapori i cui fini profili sembrano ritagliati dai capricci del vento».
Ma quel quadro meraviglioso rappresenta solo il punto di arrivo di un’avventura artistica e umana a cui Palazzo Reale dedica da oggi una grande antologica a cura di Fernando Mazzocca e Paola Zatti e che fa il pari con l’altra grande mostra ancora in corso a Novara dedicata al sodalizio de les italiens de Paris; al secolo, i pittori italiani all’ombra dell’Impressionismo, ovvero lo stesso De Nittis, Boldini, Zandomeneghi e qualche altro transfugo dalla Toscana dei macchiaioli. Ma chiamarlo sodalizio è probabilmente ingeneroso nei confronti di De Nittis, e non soltanto per la dichiarata antipatia esistente tra le due star stabilitesi a Parigi. De Nittis, a differenza di Boldini, seppe mantenere un’identità più integra e meno incline alle commesse della società mondana che fioccavano copiose anche per i due italiens. De Nittis amava troppo il mondo che lo circondava e aveva fretta di rappresentarlo en plein air con la sua pittura già matura a vent’anni. Soprattutto amava i paesaggi aridi e assolati di Puglia, almeno quanto le spettacolari eruzioni del Vesuvio e almeno quanto gli angoli brulicanti di Place de la Concorde.
Palazzo Reale celebra questa vitalità con una novantina di opere, tra olii e pastelli, provenienti dalle principali collezioni tra cui il Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, gli Uffizi di Firenze e la stessa GAM di Milano. La curatela di Mazzocca offre uno sguardo rigoroso sul percorso dell’artista, a partire dalla stagione meridionale, quando si trasferì a Napoli per frequentare la scuola di Portici, fino al 1867 quando a soli 21 anni si stabilì a Montmatre con la giovane moglie Leontine. Gli impressionisti dovevano ancora dichiararsi, ma De Nittis aveva già ben chiaro il senso profondo della pittura en plein air: «Credetemi – appuntò nel suo diario – l’atmosfera io la conoscevo bene e l’ho dipinta tante volte; conosco tutti i colori, tutti i segreti dell’aria e del cielo nella loro intima natura». Parigi lo inebriava, ma il sole del suo Mezzogiorno aveva un richiamo fortissimo, tanto da indurlo a tornare a Napoli nel ’72 dove iniziò a dipingere le memorabili vedute del Vesuvio in eruzione, impressioni dominate dalle terre di Siena bruciata e dalla gamma degli ocra. La mostra milanese documenta quegli anni – spiccano capolavori campestri come La strada da Napoli a Brindisi e Lungo l’Ofanto – per poi tuffarsi nella definitiva stagione parigina a partire dal 1874, dove l’amicizia con Degas gli permetterà di esporre alla prima mostra degli Impressionisti nello studio del fotografo Nadar. Per il giovane barlettano fu un rapido bruciare le tappe, con una vasta produzione di opere che raccontano l’effervescenza della Ville Lumière, i suoi teatri, i suoi giardini e le sue mode: come quel japonisme che condizionò l’estetica facendo germinare l’art nouveaux.
L’apice del successo giungerà tuttavia con il periodo londinese del 1874, allorché, sotto la protezione del banchiere Kaye Knowels, maturò una pittura senza più frontiere e sempre più influenzata dalle nuove tecniche fotografiche. Il ritorno a Parigi fu da trionfatore, consacrato dal capolavoro Place de Pyramides, presente anch’esso a Palazzo Reale, che divenne simbolo della capitale piena evoluzione.