Com’è stato possibile non arrestare prima Matteo Messina Denaro? Si è fatto catturare, ormai stanco e malato, oppure ha fatto un errore di valutazione? Matteo Messina Denaro è stato l’ultima primula rossa con il suo arresto è forse tramontata la mafia dei pizzini, tanto cara a Provenzano, ma è stato anche il rappresentante dell’espressione più feroce di Cosa nostra.
Una cosa è certa: ha vissuto da fantasma per trent’anni, ben nascosto e ben protetto nel triangolo della provincia di Trapani tra la sua Campobello di Mazara, Castelvetrano e Palermo. Il boss dei boss avrà anche girato mezzo mondo sotto falsa identità, ma nonostante i diversi mandati di cattura internazionali alla fine la sua base era Campobello di Mazara ed è stato catturato a Palermo a due passi dalla sede della Dda di Palermo. Ma come ha trascorso questi trent’anni?
L’ultimo Padrino
Il giornalista Luca Ponzi ricostruisce le dinamiche di potere attraverso la vita, morte e crimini di Matteo Messina Denaro (L’ultimo Padrino, edizioni Rubbettino). Un affresco delle ramificazioni del potere e dell’influenza di un uomo potentissimo che non si è mai allontanato troppo dalla sua Sicilia. Non è un caso, perché in Sicilia Messina Denaro aveva i suoi affari, perché nell’Isola e solo qui poteva vantare quella protezione che in altri lidi non avrebbe mai potuto esercitare. E in trent’anni di dominio ha scalato i vertici di Cosa nostra, diventandone il boss incontrastato, facendo affari con la droga, le opere d’arte, i supermercati, le pale eoliche. Eppure Messina Denaro aveva capito che la mafia siciliana da tempo era stata surclassata per influenza e potere decisionale dalla ‘Ndrangheta calabrese, grazie alla strategia di potere che aveva diversificato gli interessi dei calabresi nel traffico di droga. E mentre Cosa Nostra perdeva potere, le ‘ndrine entravano di diritto nella stanza dei bottoni. Messina Denaro aveva capito che se non puoi battere l’avversario forse l’unico modo era quello di trovare un accordo. “Una mafia liquida”, l’aveva definita il Procuratore di Palermo Lia Sava nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023: “Capace di infiltrarsi nello spazio libero lasciato dallo Stato”.
L’infiltrazione
Non più una mafia sanguinaria, feroce e stragista ma una mafia in grado di curare alleanze e capace di infiltrarsi in affari milionari come i soldi del Pnrr o del Recovery fund. Questa era la strategia di Messina Denaro per rilanciare il potere e l’influenza di Cosa nostra. Una mafia silente che predilige la segretezza che si radica e stabilisce relazioni e legam. Niente armi, il boss aveva capito che gli affari si fanno seduti ad un tavolo. L’ultimo progetto del boss era creare una multinazionale del crimine, ovvero un’alleanza tra mafia calabrese e siciliana per la leadership negli affari. Adesso che il boss non c’è più, sarà interessante capire se qualcuno prenderà il testimone o se questo progetto tramonterà.
Il ruolo
Matteo Messina Denaro non è stato un mafioso qualsiasi, è stato l’autore di decine di omicidi, tanto che si vantava raccontando in giro che “con tutte le persone che ho ammazzato si potrebbe riempire un cimitero”; a lui si deve uno dei crimini più efferati, aver fatto scioglierei piccolo Giuseppe Di Matteo nell’acido dopo oltre due anni di prigionia ed è stato l’uomo che in Italia ha mosso le fila della strategia stragista della mafia nel biennio ’92-93. Dietro gli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino c’era lui. Così come dietro le bombe di Milano, Roma e Firenze e la decisione di pedinare e provare a far saltare in aria Maurizio Costanzo. Il ruolo di Riina e Provenzano non era secondario, anzi era una sorta di triade ma mentre Riina preferiva far parlare le armi e avevano basato la propria strategia sulla tensione, Provenzano era legato ad una mafia più vecchio stile non meno feroce, ma più capace di lavorare a pelo d’acqua. Messina Denaro no. Messina Denaro era altro, non vicino né all’uno né all’altro perché amava ostentare la propria ricchezza, il proprio fascino e l’influenza di cui era capace oltre che godersi la bella vita e le donne di cui si circondava. Cosa che per Riina e Provenzano, legati alle proprie famiglie, era inconcepibile e andava contro il concetto di famiglia mafiosa. Il libro di Ponzi ricostruisce trent’anni di latitanza, fino alla cattura avvenuta il 16 gennaio 2023 in una clinica di Palermo dove il boss sotto falso nome, malato di cancro, si sottoponeva alla chemioterapia, e prova a far luce sulle protezioni e i legami di Matteo Messina Denaro. Massoneria, politica, servizi segreti, ma anche la cosiddetta società civile, in molti sapevano o sospettavano, ma non hanno mai parlato. E poi c’è la vita privata del boss con i pessimi rapporti con la figlia e che ogni anno ricordava il padre, capomafia anche lui, con un necrologio pieno di affetto.