Il Cristo del Bellini dialoga con gli artisti del nostro tempo

Il Cristo del Bellini dialoga con gli artisti del nostro tempo

Molto di più che una mostra quaresimale. Il Museo Diocesano Carlo Maria Martini allestisce fino all’11 maggio un progetto espositivo quasi teatrale per un ospite d’onore: il Compianto sul Cristo Morto di Giuseppe Bellini, in prestito dai Musei Vaticani. Da oggi chi entra nel museo di corso di Porta Ticinese ha la possibilità di immergersi nell’esposizione curata da Nadia Righi, direttrice del museo, e da Fabrizio Biferali, curatore del reparto per l’arte dei secoli XV-XVII dei Musei Vaticani, dove la tela del Bellini è esposta nella sala 9. E se lì, appena dopo il Salone di Raffaello, passa quasi inosservata, a Milano diventa protagonista di una mostra corale in cui quattro artisti contemporanei dialogano con la sua iconografia. Come sempre accade al Diocesano, il visitatore è accompagnato davanti al capolavoro del Bellini «in un percorso di avvicinamento che è anche emozionale», spiega Nadia Righi, mentre varchiamo le prime due sale della mostra, utili a comprendere la grandezza dell’artista, «uomo di meditazioni instancabili, come diceva il grande Roberto Longhi, ma anche pittore tonale, tra i primi a dare valore simbolico allo sfondo».

Bellini (1435-1516), maestro del Rinascimento veneziano, dipinse la tavola intorno al 1475. La osserviamo nell’allestimento su telo morbido bianco, cui si giunge dopo aver attraversato una sala buia, con un sottofondo musicale e video che evidenzia i dettagli dell’opera e l’originale posizione, in cima alla pala dell’altare maggiore della chiesa di San Francesco, a Pesaro, e ne rimaniamo sbalorditi. Pensata per essere posta a 5 metri di altezza, appare scorciata dal basso: rappresenta la scena in cui il corpo di Cristo viene unto con olii profumati dalla Maddalena, insieme a Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. In un intreccio straordinario di mani in primo piano, i tre sostengono il corpo ormai cadavere di Gesù. Osserviamo la cura e la dedizione dell’atto: c’è pietà composta, non dolore. Il cielo azzurro sullo sfondo pare un segno di speranza. Opera capitale della storia dell’arte, la cosiddetta Pala di Pesaro fu smembrata in età napoleonica per poi tornare in Italia intorno al 1820 grazie all’intervento di Antonio Canova, al tempo ispettore per le belle arti a Roma: quel che noi vediamo ora al Diocesano è la cimasa, ovvero il quadro posto in cima alla grande pala, conservata nella sua interezza ai musei civici di Pesaro.

I capelli della Maddalena, l’incarnato del Cristo, la finezza delle barbe, le fronti aggrottate: Bellini è un poeta della pittura, capace di cogliere l’umano, il sentimento. La modernità è dimostrata nella seconda parte della mostra, curata da Giuseppe Frangi in collaborazione con Casa Testori, dove 4 artisti contemporanei rileggono Bellini: Letizia Cariello realizza una suggestiva installazione dedicata alla Maddalena, Andrea Mastrovito reinterpreta la deposizione del Cristo dalla Cattedrale di Leopoli in un dipinto di straordinaria potenza mentre Emma Ciceri confeziona un video in loop che si concentra sulle mani e Francesco Grandi riattualizza il tema della morte di Cristo.

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