Gli Emirati Arabi Uniti e altri Paesi in Medio Oriente stanno limitando in maniera crescente l’utilizzo da parte degli Stati Uniti delle strutture militari presenti sul loro territorio. La notizia è stata confermata a Politico da quattro fonti anonime e lascia intravedere difficoltà che potrebbero compromettere la campagna militare autorizzata dall’amministrazione Biden contro i gruppi filoiraniani appartenenti all’Asse della resistenza.
Il regime degli ayatollah è finito nel mirino degli americani a causa del supporto fornito alle milizie in Siria, Iraq e Yemen le quali dopo il 7 ottobre si sono attivate a sostegno di Hamas. I leader di alcuni Paesi nella tormentata regione, in primis gli Emirati Arabi, starebbero quindi manovrando alla ricerca di un delicato equilibrio tra la necessità di sostenere un alleato cruciale come gli Stati Uniti e quella di evitare la reazione ostile dell’Iran.
Sono circa 45mila le truppe americane stanziate nella regione mediorientale, in particolare in Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. Centinaia di militari sono inoltre collocati in basi in Iraq, Siria, Turchia e in altri avamposti meno conosciuti come quello in Giordania dove tre soldati statunitensi sono rimasti uccisi a fine gennaio a seguito di un attacco con droni dei proxy di Teheran.
Negli Emirati Arabi è situata l’Al Dhafra Air Base che ospita decine di velivoli americani inclusi i droni da ricognizione MQ-9 Reaper. Gli Stati Uniti negano le tensioni tra i due Paesi sull’utilizzo della base ma potrebbe non essere una coincidenza il fatto che Washington da gennaio stia colpendo i fedayn in Yemen con caccia decollati dalla portaerei USS Dwight D. Eisenhower o che più di recente abbia fatto ricorso a bombardieri supersonici B-1 provenienti dalla Ellsworth Air Force Base nel South Dakota.
Come riporta Politico, gli sceicchi “non vogliono apparire contrari all’Iran nè vogliono sembrare troppo vicini all’Occidente e ad Israele per ragioni di opinione pubblica”. C’è da dire poi che già negli scorsi anni gli Emirati Arabi hanno registrato un incremento degli attacchi degli Houthi e temono possibili ritorsioni dei ribelli yemeniti.
Il dilemma di Abu Dhabi attanaglia altri leader di nazioni arabe che, preoccupati dal bilancio delle vittime del conflitto tra Tel Aviv e Hamas nella Striscia di Gaza, hanno deciso di adottare una linea improntata alla cautela anche per non esacerbare le tensioni tra la popolazione locale da sempre critica nei confronti dello Stato ebraico e dell’America. Infatti, se dovessero scoppiare rivolte e tumulti la tenuta sociale e politica di numerosi Paesi nell’area potrebbe essere a rischio.
Le forze Usa “hanno la capacità di ricorrere a risorse aggiuntive per garantire gli sforzi di deterrenza nella regione e fornire opzioni per un’ampia gamma di circostanze”, afferma il generale Pat Ryder, portavoce del ministero della Difesa americano, precisando che il Central Command conserva inalterata “la capacità di “difendere le nostre forze e di condurre attacchi di autodifesa in qualsiasi luogo e momento”. Insomma, il Pentagono sembra ammettere implicitamente che qualche contrasto con i partner nella regione ci sia ma in una fase attuale questa situazione non avrebbe ancora prodotto difficoltà insormontabili. In caso di ulteriore escalation con Teheran tale considerazione potrebbe però andare incontro ad una smentita clamorosa.