La triste parabola della dinastia Agnelli. Dai fasti del Novecento alle aule dei tribunali

La triste parabola della dinastia Agnelli. Dai fasti del Novecento alle aule dei tribunali

«I parenti, a differenza degli amici, non si possono scegliere». Le parole di Gianni Agnelli sono la didascalia di quello che sta accadendo all’interno della famiglia di imprenditori torinesi, la più illustre della storia italiana. Liti e accuse per una questione di denari, eredità, inganni, evasione fiscale, un repertorio di gente comune trasformato in spettacolo mortificante se ad interpretarlo sono figli, nipoti, madri di una dinastia già lacerata, nel tempo, da altre vicende che poco o nulla hanno a che fare con la dignità doverosa.

Fu il senatore Giovanni Agnelli, il fondatore, una volta perso tragicamente il proprio figlio Edoardo, ad intervenire nei confronti della nuora Virginia Bourbon del Monte per la sua vita allegra, piena di bizzarrie e di idilli amorosi. Riuscì, su sentenza del Tribunale di Torino, a sottrarle la patria potestà sui sette figli dopo aver fatto saltare le nozze con Curzio Malaparte e costringendola a rinunciare ad ogni beneficio; arrivando addirittura a incaricare un detective per seguirla, pedinarla. Virginia sarebbe morta in un incidente stradale. Di un altro figlio del senatore, Giorgio Agnelli, pochissimo si narra, una esistenza aspra per disturbi psichici, assunzione di stupefacenti, isolato e deriso nei commenti irrispettosi del fratello Gianni contro il quale, secondo una versione mai confermata ma nemmeno smentita, sparò un colpo di pistola. Giorgio Agnelli finì la sua vita con un suicidio, lanciandosi dall’ultimo piano della clinica vicino a Losanna, dove era ricoverato dopo gli ultimi comportamenti aggressivi. La sua morte fu cancellata dalle memorie pubbliche di famiglia, mai ne fu osservato il lutto, anche Giorgio ebbe a che fare con la giustizia, arrivò ad un concordato fiscale con lo Stato per una cifra superiore al miliardo di lire.

Il suicidio ha segnato la cronaca e la storia di Edoardo, figlio dell’Avvocato, una fine misteriosa, nessuna autopsia, quasi la voglia frettolosa di dimenticare per non sapere o forse tutto conoscendo. Le cronache moleste di Lapo Elkann, prima protetto, poi abbandonato, le morti di Gianni, di Umberto, di Susanna, triade di riferimento; quella di Giovanni Alberto, figlio di Umberto, un epilogo straziante: il cancro lo strappò precocemente ad un percorso importante, già individuato dall’Avvocato, poi però affidato a John Elkann.

E poi le vicende giudiziarie, e non soltanto, di Andrea Agnelli e quindi, in questo universo di contraddizioni e glorie, ecco Margherita, la «bambinaia» come la definì suo padre Gianni dopo l’annuncio dell’ottavo figlio, il quinto avuto dal matrimonio con Serge de Pahlen, un nobile russo non meglio identificato e identificabile all’interno della famiglia, mai e mal sopportato dall’Avvocato e dal resto dell’azienda Fiat, come un drone oscuro pilotato da Putin. Nel breve volgere di un anno, 2003-2004, la scomparsa di Gianni e del fratello Umberto provocò una terremoto psicologico e poi finanziario, Margherita confessò a un altro membro della famiglia di temere lo stesso epilogo che aveva travolto Calisto Tanzi e la Parmalat, decise così di uscire, per alcuni di fuggire, da quella storia non più chiara e fertile, per lei. Il 18 dicembre 2003 rinunciò a pretendere quello che le spettava, il 50% dei beni del padre, avrebbe però ricevuto 1 miliardo e 160 milioni di euro; oltre a ciò, un altro centinaio di milioni, la nuda proprietà di un certo numero di immobili e 115 opere pittoriche del valore odierno superiore a 2 miliardi. L’arrivo di Sergio Marchionne, su indicazione di Umberto, cambiò la realtà imprenditoriale e finanziaria del gruppo che ritrovò valore. L’imprevisto sviluppo portò Margherita a un pentimento e a una riflessione sull’accaduto e sulla propria scelta, da lei ritenuta sua sponte coacta, spinta dalle anime nere Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens che non le avevano rivelato l’esatta entità del patrimonio, non soltanto immobiliare (la società semplice Dicembre è lo scrigno di tutto il potere finanziario dell’Avvocato) lasciato da suo padre il cui testamento ultimo, nell’aprile del 1999, indicava in Edoardo e Margherita gli eredi, a Marella l’usufrutto vitalizio del patrimonio. Il documento non fu modificato anche dopo il suicidio di Edoardo. Un primo passo per chiedere la verità sui beni non trovò risposta nel tribunale ma la belva, come la definiscono alcuni membri della famiglia, decise di non arrendersi, anzi di andare all’attacco addirittura della propria madre Marella e dei tre figli, John, Lapo e Ginevra che avevano ricevuto l’eredità, dunque tagliandola fuori, insieme con i cinque figli de Pahlen, da ogni assegnazione. Tre testamenti firmati dalla vedova di Gianni, tre documenti compilati in Svizzera, residenza di Donna Marella ma impugnati dopo la morte della stessa, avvenuta nel 2019, data nella quale si esaurisce il vitalizio mensile di 770mila euro girato dalla figlia alla madre attraverso una fiduciaria. E qui prende spazio il notaio von Grunigen (uno dei tre indagati con Ferrero e Elkann) come esecutore testamentario. La guerra è dichiarata, portata avanti dallo studio legale di Dario Trevisan, la tesi sostiene che Marella Agnelli «sia stata indotta a rilasciare i testamenti, nonostante non ne potesse comprendere la portata, minata nelle sue effettive capacità». Di fatto John è venuto in possesso del 60% delle azioni, Lapo e Ginevra del restante 40%, la Dicembre ha il 38% della Giovanni Agnelli Bv che a sua volta possiede il 53% di Exor che, a cascata, detiene quote importanti in Stellantis, Ferrari, Juventus, Chn. Margherita chiede notizie dei quadri scomparsi, opere di De Chirico, Monet, Bacon, dei lingotti d’oro conservati nelle banche di Ginevra e dei capitali che, sempre secondo lei, sarebbero depositati in vari paradisi fiscali. Alla fine, la sua battaglia ha sollecitato l’intervento della procura di Torino. Può essere l’inizio della fine o la fine di una vicenda miserabile. Gianni Agnelli disse: «Mi piace il vento perché non si può comprare». Tutto il resto è mercato, compreso il secolo di una famiglia finita in tribunale.

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