La “polizia morale”, arma che il regime iraniano utilizza per sottomettere le donne, avrà chiuso un occhio. Anzi, due. Più delle regole coraniche, vale la politica. Ha scatenato polemiche la decisione del governo di Teheran di concedere il visto turistico a una pornostar americana, Whitney Wright, distintasi nelle ultime settimane per aver difeso apertamente la causa palestinese. Per quest’ultima, le norme che sono costate la vita ad alcune donne – per il solo fatto che una ciocca di capelli fuoriuscisse dal velo islamico – si sono stranamente attenuate e le porte del Paese arabo si sono così aperte.
La performer a luci rosse ha documentato il proprio viaggio in Iran con scatti e video pubblicati sui social. Durante il suo tour, Whitney Wright ha visitato vari luoghi simbolo dell’antiamericanismo, tra cui il Palazzo Golestan e l’ex ambasciata statunitense a Teheran, trasformata in un museo anti-americano. Le sue azioni hanno scatenato rabbia sui social media iraniani. Negli scatti, la donna è apparsa con l’hijab sul capo, secondo le tradizioni morali del posto. Ma ciò non è bastato a placare i commenti negativi e le proteste di chi ha denunciato i doppi standard del governo locale: inflessibile e vessatorio nel confronti delle donne iraniane, clemente invece con la pornostar filopalestinese.
E la rabbia per questo atteggiamento si è riversata sui social. In moltissimi hanno accusato Teheran di usare Wright per spingere la propria propaganda contro Israele, nonostante la legge islamica condanni chi pratica esibizioni come quelle della performer statunitense con l’accusa “corruzione sulla terra” che comporta anche la condanna a morte. La pioggia di critiche ha spinto la donna a chiudere i commenti sui propri profili social. “La pornostar americana Whitney Wright è in Iran, il mio Paese di nascita, dove le donne vengono uccise per aver semplicemente mostrato i capelli ed essere fedeli a loro stesse“, ha lamentato in rete l’attivista Masih Alinejad, che subì tentativi di assassinio da parte dell’Iran.
La visita della Wright nel Paese arabo è peraltro avvenuta dopo la carcerazione del premio Nobel per la pace e attivista per i diritti delle donne, Narges Mohammadi, dopo l’approvazione della legge sull’obbligo del velo e dopo le proteste in tutto il Paese per la morte di Mahsa Amini. L’agenzia Tasnim, associata al Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche, ha scritto che la Wright era in visita privata e che le autorità non erano a conoscenza della natura “oscena” del suo lavoro. Ma il fatto che la donna avesse espresso convinzioni antisemite e pro-Palestina continua ad alimentare interpretazioni ben diverse.