Sanremo, lo show regge finché non diventa un sequestro

Sanremo, lo show regge finché non diventa un sequestro

Dunque la prima “cinquina” del Festival di Sanremo è quella che vede in testa Loredana Bertè e poi Angelina Mango, Annalisa, Diodato e Mahmood. Stasera ce ne sarà un’altra e via così fino a sabato sera. Ma come si è presentata questa 74esima edizione? Nonostante i 17 minuti di anticipo quando si è esibito l’ultimo cantante (Il Tre, ore 1.48) il Festival si conferma essere un corso di sopravvivenza per chi lo voglia seguire tutto dall’inizio alla fine. Sei ore sono al di là delle possibilità umane e, parliamoci chiaro, penalizzano la riuscita complessiva dello show. In sala, nonostante gli applausi e il volume altissimo, c’erano spettatori con la palpebra cadente e quindi immaginatevi a casa quanti ronfassero davanti alla tv. È inevitabile, non è una colpa, specialmente se il mattino dopo si fa quello che fanno tutti: andare a lavorare presto.

In realtà, al netto di una propensione al gigantismo, il Festival di Amadeus è progettato per il futuro, per gli spettacoli che si possono frammentare, spillolare, spalmare sui social e sul web senza dipendere esclusivamente dalla messa in onda televisiva. Quindi il 74esimo Festival di Sanremo è partito con questa ottica e, da questo punto di vista è stato vincente. Ogni “quadro” della prima serata aveva un senso, la scaletta delle canzoni era ben equilibrata, Fiorello non ha dilagato e l’assenza di superospiti ha senza dubbio giovato.

Prima considerazione. Questo Festival al momento è privo di scandali e persino il “Bella Ciao” cantato in sala stampa non ha scatenato i soliti boatos politici che in altri anni avrebbero monopolizzato l’attenzione. Invece, sempre più vicino al modello Eurovision, lo show sanremese è show senza troppe concessioni allo scandalo o alla polemica. Trenta cantanti ma quasi quaranta canzoni tra quelle cantate in gara e poi dal coconduttore Marco Mengoni (promosso lui, un po’ meno i suoi autori), da Lazza in piazza e da Tedua sulla nave. Qualche veloce incursione di Fiorello (bella la sua imitazione alla batteria di Ethan dei Maneskin) e, nel complesso, pochissime cadute di gusto.

Di certo lo show ci guadagna senza le deragliate spesso retoriche dei monologhi delle coconduttrici negli anni scorsi. E, vista la solidità del copione, è utile anche chiedersi perché invitare ridondanti e tutto sommato superflui divi come Russell Crowe e John Travolta. Ma sono dettagli. Fino a vent’anni fa, molti chiedevano a gran voce la chiusura del Festival. Ora nessuno avrebbe il coraggio di sognarsi una richiesta del genere. Questa è una vittoria. Che sarà totale quando la lunghezza dello spettacolo non sconfinerà nel sequestro di persona.

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