“Nessuna immunità”: la stangata dei giudici contro Trump

Corte suprema, giudici e processi: ecco cosa può succedere a Trump

Saga giudiziaria di Donald Trump, episodio ennesimo. L’ex presidente degli Stati Uniti non potrebbe in alcun modo godere dell’immunità presidenziale per quanto riguarda le accuse penali collegate ai suoi tentativi di rovesciare i risultati elettorali del 2020. Lo hanno stabilito, all’unanimità, i tre giudici della Corte d’appello Usa del distretto di Washington: “Per quanto riguarda questo caso penale, il presidente Trump è diventato il cittadino Trump, con tutte le difese di ogni altro imputato – si legge nella sentenza – ma nessuna immunità esecutiva che poteva proteggerlo quando era presidente lo protegge ora dall’azione penale“.

La richiesta dell’immunità assoluta da parte del team di Trump

Trump aveva invocato l’immunità presidenziale contro il processo istruito a suo carico in cui deve rispondere di quattro capi di imputazione tra i quali complotto per frodare gli Stati Uniti e per ostacolare la ratifica della vittoria di Joe Biden. Trump, che continua a dichiararsi innocente, aveva invocato attraverso i suoi avvocati l'”immunità assoluta” perché le accuse farebbero riferimento ad atti compiuti quando era presidente. La giudice del caso, Tanya Chutkan, non aveva accolto però questi argomenti, così il ricorso è giunto fino alla Corte d’appello, che ha confermato la posizione della giudice federale. Nel tentativo di accorciare i tempi dei ricorsi, il procuratore Jake Smith aveva chiesto alla Corte Suprema di pronunciarsi direttamente sulla questione dell’immunità, ma questa aveva rimandato il caso alla Corte di grado inferiore.

Le due opzioni sul tavolo per Donald Trump

Al tycoon ora non resta che un rapido appello alla Corte Suprema. Un durissimo colpo alla sua difesa nel processo intentato contro di lui dal procuratore speciale Smith. L’ex presidente aveva sostenuto che la condotta che Smith gli imputava faceva parte dei suoi doveri ufficiali di presidente e quindi lo proteggeva da ogni responsabilità penale. Come temeva il procuratore speciale, la giudice Chutkan è stata costretta a far slittare l’inizio del processo, inizialmente fissato al 4 marzo, alla vigilia del Super Tuesday. Intanto, la Corte d’appello ha fissato al 12 febbraio la data ultima per la presentazione del ricorso alla Corte Suprema.

Il collegio che ha emesso la sentenza è composto da J. Michelle Child, Florence Pan (nominate da Joe Biden) e Karen LeCraft Anderson (nominata da George H. Bush): i giudici hanno chiarito il loro scetticismo nei confronti delle affermazioni di Trump durante le udienze del mese scorso. La decisione segna la seconda volta in altrettanti mesi che i giudici respingono le argomentazioni sull’immunità per Trump in quanto ex presidente, affermando che The Donald può essere perseguito per le azioni intraprese mentre era alla Casa Bianca e nel periodo precedente al 6 gennaio 2021. Il ricorso alla Corte Suprema non è, tuttavia, l’unica via che la squadra dei legali di Trump potrebbe esperire: potrebbe essere richiesta una revisione en banc alla Corte d’Appello, che implicherebbe il riesame del caso, ma questa volta all’interno del circuito giudiziario di DC.

Perchè Trump non è immune: la clausola sulla separazione dei poteri

Se dimostrato – scrive la Corte – gli sforzi di Trump per usurpare le elezioni sarebbero un assalto senza precedenti alla struttura del nostro governo. Sarebbe un paradosso sorprendente se il Presidente, che è l’unico investito del dovere costituzionale di prendere cura che le leggi siano fedelmente eseguite, fosse l’unico ufficiale in grado di sfidare quelle leggi impunemente“. Gli avvocati di Trump, tuttavia, continuano a sostenere che-poichè il tycoon è stato assolto dal Senato nella procedura di impeachment- è protetto ulteriormente dalla legge e non potrebbe, dunque, essere accusato dal Dipartimento di Giustizia per la medesima condotta.

La Corte ritiene, invece, che Trump non possa essere immune da procedimenti penali ai sensi della clausola di separazione dei poteri. In questo caso le azioni di Trump avrebbero violato le comuni leggi penali generalmente applicabili, il che significa che tali atti non rientrano propriamente nella sfera di legittima discrezionalità che spetta a un presidente: tesi sempre sostenuta da Trump, trinceratosi da quattro anni dietro la tesi della “difesa dell’integrità elettorale”. Se correttamente intesa, la dottrina della separazione dei poteri può conferire l’immunità verso atti discrezionali legittimi, ma non impedirebbe il perseguimento penale federale di un ex presidente per ogni atto ufficiale.

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