Inizia la settimana italiana dell’irrealtà. Inizia la settimana di Sanremo. Fino a sabato, con una coda nei programmi della domenica pomeriggio, il Paese sarà ridotto a una serie di cartoline edificanti soprattutto se devono raffigurare temi drammatici. Più tragedia, più melassa.
Non saranno dimenticate le battaglie civili, quelle giuste, prelevate direttamente dall’agenda di Elly Schlein. L’effetto diabete è garantito. Regnerà l’amore, in tutte le sue forme: uomo con donna, uomo con uomo, donna con donna, siamo liberi, siamo fluidi, siamo arcobaleno, evviva. Sanremo è eco-sostenibile, eco-riciclabile (in effetti le canzoni sono spesso una uguale all’altra), eco-minestrone, con l’aggiunta di pesto a chilometro zero, sulle opere d’arte. Sanremo è la patria, anzi: la matria, della lotta al patriarcato istituito dal maschio bianco eterosessuale. Sanremo è migrazione e meticciato contro il razzismo innato degli italiani. I migranti sono esempi del nostro futuro stile di vita, che bello, lo dice anche Laura Boldrini. Sanremo è pacifismo, contro tutte le guerre, sono tutte sbagliate, anche quelle giuste, make love not war, riempiamo di fiori i nostri cannoni, riempiamo di erba i nostri polmoni. Sanremo è libertà contro l’oppressione della grammatica, che è una stupida convenzione borghese. Sarà possibile cantare frasi senza capo né coda, tipo: «Ma se morirò da giovane qualcosa avrò da scrivere» o «Ti pettini i capelli con una calibro 9». La lingua potrà essere solo esteriormente simile a quella italiana: «Mi han detto che il destino te lo crei soltanto tu». Anche la grammatica sanremese te la crei soltanto tu. A Sanremo non si parla di politica. Niente destra, niente sinistra, anche se ogni secondo della manifestazione sarà passato allo scanner per individuare un eventuale riferimento a Giorgia Meloni e gridare al fascismo o all’antifascismo di colore rosso. Comunque Sanremo abbatte le divisioni sociali. Non ci saranno ricchi o poveri ma ci saranno i Ricchi e poveri. Non ci sarà il tennista Jannik Sinner, che ha detto di doversi allenare e di non c’entrare nulla con le canzoni. Nel mondo sanremese, questa professione di realismo ha suscitato scalpore ed è sembrata irreale. Un italiano che non vuole andare a Sanremo è una ipotesi non contemplata.
La realtà, però, non ne vuole sapere di fermarsi. A Varese, uno studente ha conficcato un coltello nella schiena di un professore. A Catania, sette immigrati egiziani hanno violentato una tredicenne. Nel cuore dell’Europa si combatte una guerra per l’egemonia sul Vecchio Continente. Dall’altra parte del Mediterraneo, i terroristi di Hamas hanno ordito un attentato di una crudeltà inedita contro i cittadini di Israele in quanto ebrei. In risposta, l’esercito israeliano ha invaso la Striscia di Gaza.
Forse arriveranno i trattori sul palco dell’Ariston. Sarebbe un’imprevedibile soprassalto di realtà: le proteste in tutta Europa, le autostrade interrotte, lo spettro della crisi agricola, la lotta per i sussidi, la discussione sulle quote. Ma la macchina del grottesco non si ferma davanti a nulla. Gli agricoltori sono stati invitati da Amadeus in conferenza stampa. Subito dopo, il feudatario Al Bano si è offerto di guidare la sfilata. Anche Ornella Muti ha dato la sua disponibilità e lanciato un appello ad Adriano Celentano: «Vieni anche tu».
Rovazzi aveva capito tutto quando incise il brano che faceva: «col trattore in tangenziale / andiamo a comandare».