Antonio Paolucci è stato il più politico degli storici dell’arte, meglio dei soprintendenti. Non perché è stato ministro dei Beni culturali, esercitando una funzione politica, ma perché ha inteso la storia dell’arte non come una ricerca estetica o di approfondimento critico, ma come una esperienza di storia civile, di educazione.
Il suo obiettivo era quello di raccontare l’arte, come conoscenza necessaria per la formazione civile. Nulla di più lontano da lui dell’idea d’intendere l’arte e i musei come fonte di profitto. Il suo obiettivo, che era anche il mio, era la gratuità dei musei come delle biblioteche, perché le opere d’arte sono strumenti di conoscenza, fondamentali per la formazione e la coscienza di essere italiani. Che non è una condizione post risorgimentale, ma rinascimentale. Una nazione si definisce dalla lingua. Ma la lingua non è soltanto nella parola, ma nel segno, nella pittura. Non si può immaginare che leggere Dante, Leopardo o Manzoni sia diverso da vedere Giotto, Piero della Francesca o Raffaello. L’Italia poi è un insieme di varietà, di identità locali. E Paolucci, che ebbe la ventura di essere Direttore delle istituzioni più nazionali d’Italia, gli Uffizi e i Musei Vaticani, era di origine romagnola (era nato a Rimini, nel 1939). Si era mosso da studi locali, identificando una parte di Rinascimento che si può definire «adriatico». Ma il Paolucci che conosciamo non è l’allievo di Roberto Longhi, ma il Soprintendente che io incontrai a Venezia e a Verona, e che poi lo divenne a Firenze quando i musei, anche gli Uffizi, le Sovrintendenze erano una sola cosa. E che intendeva il suo lavoro come il risarcimento di un patrimonio dopo il tempo terribile dell’alluvione di Firenze, metafora di una situazione che era quella dell’intero patrimonio artistico italiano. Comincia di lì il ministro, che divenne nel 1995, e che 0tenne insieme conservazione e conoscenza, in continue conferenze e trasmissioni televisive. La sua voce ci ha accompagnato e ci accompagnerà davanti a Piero della Francesca o Michelangelo. E, attraverso i suoi occhi, potremmo sentire l’orgoglio di essere italiani.