Netanyahu: sterminare Hamas. Ultima mediazione di Blinken

Netanyahu: sterminare Hamas. Ultima mediazione di Blinken

E sono cinque. Una visita per ogni mese di guerra. Antony Blinken, segretario di Stato Usa, è da ieri di nuovo in Medio Oriente. È atterrato a Riad, in Arabia Saudita, poi andrà in Qatar, Israele, Egitto, per finire in Cisgiordania. Un modo per ricucire i rapporti con gli alleati nella regione, perplessi dopo gli attacchi dei giorni scorsi in Siria e in Irak contro le milizie filo-iraniane e contro gli Houthi nello Yemen.

Un compito particolarmente difficile quello di Blinken, che arriva con gli occhi del mondo addosso e con la storica alleanza con Israele ai minimi storici di feeling. Pur continuando ad affermare il diritto dello stato ebraico alla difesa, Washington è sempre meno allineata con le posizioni estremistiche del governo Netanyahu, a sua volta offeso per le sanzioni adottate dalla Casa Bianca contro i coloni israeliani accusati di violenza contro i palestinesi in Cisgiordania.

A rendere plastica la distanza tra Washington e Gerusalemme arriva la ricostruzione pubblicata da Politico, secondo cui il presidente Joe Biden sarebbe giunto a chiamare il primo ministro Benjanim Netanyahu, quando ne parla con il suo staff, «bad fucking guy», che al netto del turpiloquio potremmo tradurre con «fottuto cattivo». La Casa Bianca ha naturalmente smentito la soffiata («il presidente non ha detto una cosa del genere, né la direbbe») ma Politico non sembra aver dubbi sul disagio di Biden per i tentativi dell’alleato israeliano di trascinare gli Usa in un conflitto allargato in Medio Oriente e sui mal di pancia nel campo democratico, dove si teme che un’escalation bellica possa trasformarsi in un autogol in vista delle presidenziali di novembre.

Malgrado questo clima non certo idilliaco, Blinken proverà a rammendare il rammendabile, spingendo per una seconda tregua, più lunga di quella di novembre: una settimana, ripagata dal rilascio di un centinaio di ostaggi detenuti a Gaza in cambio dei palestinesi detenuti da Israele. L’idea, elaborata nel corso di un vertice a Parigi da rappresentanti di Qatar, Arabia, Stai Uniti ed Egitto, è quella di uno stop alle armi di sei settimane con la liberazione di 200-300 palestinesi detenuti in Israele in cambio di 35-40 ostaggi dei 104 ostaggi vivi che sarebbero ancora nelle mani di Hamas. Che fa sapere che «la proposta dell’incontro di Parigi è ancora allo studio», ma ci sono «osservazioni sostanziali», soprattutto perché non si fa riferimento a «una cessazione completa dell’aggressione israeliana» e non si danno «garanzie internazionali». Sul tavolo ci sono anche il tentativo di normalizzare i rapporti tra Arabia Saudita e Israele, gli aiuti ai palestinesi di Gaza e il futuro della Striscia del dopo-Hamas.

La diplomazia fatica mentre continuano a tuonare le armi. Secondo le forze di difesa israeliane nelle ultime ventiquattro ore sarebbero stati uccisi in attacchi aerei e scontri di terra in particolare nelle zone di Rafah e Khan Younis 128 persone, tra i quali donne e bambini secondo Hamas, mentre Israele parla solo di terroristi. Parlando ai soldati delle Forze di difesa israeliane a Latrun, Netanyahu ha detto che il 75 per cento dei battaglioni di Hamas sono stati distrutti. «Siamo sulla strada verso la vittoria totale», ha aggiunto, augurandosi la morte dei leader di Hamas e annunciando l’intenzione di respingere le richieste di Hamas sugli ostaggi. La controversa Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), sull’operato della quale il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, ha nominato un gruppo di revisione indipendente guidato dal ministro degli Esteri francese Catherine Colonna, accusa l’esercito israeliano di aver attaccato un convoglio di aiuti alimentari diretto a Gaza.

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