“Le università telematiche nel futuro dell’istruzione”

"Le università telematiche nel futuro dell'istruzione"

«Come professore lungimirante e aperto all’innovazione, ritengo che le università telematiche siano il futuro dell’istruzione terziaria. Per il momento sono complementari a quelle in presenza, – 11 su 96 atenei italiani tradizionali ma il divario sarà destinato a ridursi. Però è illusorio pensare che nelle università telematiche si debba avere lo stesso rapporto docenti/studenti che esiste in quelle convenzionali, essendo geneticamente diverse». Il professor Alfonso Celotto è ordinario di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre. Grande divulgatore giuridico, docente in presenza, smentisce i gufi che alzano il sopracciglio quando si parla di atenei digitali ed esami on line. «Quando c’era il Covid tutti gli studenti hanno lavorato a distanza sostenendo esami davanti al computer. E io stesso facevo lezioni attraverso il mio telefonino».

Durante il governo Draghi, una legge ha eliminato il principio della differenziazione tra università telematiche e convenzionali compreso il rapporto docenti/studenti che, per gli atenei telematici era di tre volte inferiore.

«Ma non è giusta questa equiparazione, perché la didattica digitale è totalmente diversa da quella in presenza dove i ragazzi devono stare tutti in aula per seguire una lezione. Nel digitale la platea può essere molto più estesa senza conseguenze negative per la didattica».

Quindi non è necessario raddoppiare o triplicare il numero dei docenti negli atenei digitali?

«No, nel digitale non serve la stessa quantità di professori che esiste in presenza. Del resto, la Consulta nel 1958 ha chiaramente stabilito che per avere eguaglianza si devono differenziare le posizioni».

Per correggere questa disposizione, è stato presentato un emendamento al Dl Milleproroghe a firma dell’onorevole Ziello che chiede la proroga di un anno per eventuali modifiche.

«È una scelta ragionevole. È approssimativo equiparare le due tipologie di atenei ed è opportuno prendersi del tempo per riflettere. Queste università sono riconosciute legalmente, diamo loro spazio e strumenti per camminare, ne va a beneficio dell’istruzione nel nostro paese che è al penultimo posto per laureati seguito solo dalla Romania».

E che cosa propone?

«Bisogna migliorare l’organizzazione e se qualcuna di queste strutture lavora male devono scattare le verifiche. Ma l’offerta delle telematiche è importante perché arriva nelle piccole città o permette alle famiglie meno abbienti di offrire una formazione universitaria a propri figli che altrimenti non potrebbero permettersi di proseguire negli studi».

Perché c’è avversione verso questa forma di apprendimento?

«È la paura del nuovo ed è retaggio del passato quando tali università erano mal regolate e ciò ha provocato distorsioni».

Altra diffidenza riguarda la qualità del corpo docente.

«È una stupidaggine: se non si vince il concorso di Stato non si può fare lezione. Fondamentale è la recente sentenza del Consiglio di Stato che invita il legislatore a definire un quadro normativo idoneo, riconoscendo il ruolo che hanno assunto le telematiche».

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