Ferragni al contrattacco: ora cita in giudizio i marchi che la mollano

Dall'Antitrust a Pigna: così l'arroganza di Ferragni ha portato alla fine del suo impero

Colore e buon umore». «Ageless» e «genderless». Lustrini e quattrini. Solo fino all’altro ieri una manciata di glitter rosa griffati Ferragni su un quaderno a quadretti poteva fare la differenza per i volumi d’affari di un’azienda. E infatti anche Pigna, la storica società cartiera bergamasca, si era tuffata nel business dell’occhio rosa, sperando di svecchiare il marchio.

All’epoca del lancio della cancelleria rosa e azzurro shocking, l’influencer era una garanzia per le vendite. Oggi, suo malgrado, non lo è più.

Ma di fronte all’ennesima doccia fredda – e cioè la decisione dell’azienda di Alzano Lombardo di interrompere la collaborazione con l’imprenditrice – ecco che, per la prima volta dall’inizio della tempesta, la si è vista reagire. E mentre sui suoi social scorrevano le sue foto con bambini, sorelle e madre al seguito in hotel e ristoranti vista mare (il marito Fedez? Per chi se lo chiedesse, non c’era), il suo ufficio stampa con una nota di fuoco ha annunciato il ricorso alle vie legali. «Fenice, società licenziante dei marchi Chiara Ferragni, contesta la violazione da parte di Pigna del contratto in essere e la legittimità della unilaterale interruzione dei rapporti commerciali da parte di Pigna».

Nemmeno troppo tra le righe, si capisce che stavolta l’imprenditrice – occhi color zaffiro e sorriso prestampato – stavolta era piuttosto adirata. Sarà che l’annuncio del divorzio (l’ultimo in ordine cronologico dopo Safilo e Coca Cola) è avvenuto su stampa e social e a sua insaputa? Per altro sul sito dell’azienda – che ha di recente lanciato una linea con il campione Jannik Sinner – già sabato era stata rimossa la pagina a lei dedicata per la Limited Edition dei suoi prodotti. L’azienda cartiera aveva precisato, con una nota, che il suo codice etico infatti «esclude la collaborazione con soggetti terzi sanzionati dalle autorità competenti per avere assunto un comportamento non etico, corretto e rispettoso delle leggi”. L’ovvio riferimento è alla maxi-multa dell’Antitrust da 1,4 milioni di euro per Balocco e le aziende di Ferragni, cioè Tbs Crew e la stessa Fenice. «L’illegittimità della decisione di Pigna – ha sottolineato invece Ferragni – è stata aggravata dalla scelta dell’azienda di comunicare al pubblico, prima ancora che a Fenice, la cessazione del rapporto di partnership. Una scelta evidentemente strumentale e contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto. In questo contesto, Fenice si riserva di agire nelle sedi più opportune a tutela dei propri interessi».

Sempre la società riferibile a Ferragni ha ritenuto «strumentale» il riferimento al codice etico anche in considerazione di una dichiarazione resa ai media in data 23 dicembre 2023 (quindi dopo la notizia dell’apertura di diverse inchieste, tra cui a Milano, sulla «finta» beneficenza dei pandoro rosa) dall’amministratore delegato di Pigna, Massimo Fagioli, che aveva definito la collaborazione «proficua e soddisfacente».

Tornando all’inchiesta che la riguarda. Di recente, con il provvedimento con cui ha attribuito a Milano la titolarità delle indagini per truffa aggravata con più episodi (pandoro, uova, bambola Trudi, Oreo e donazioni Soleterre), la procura generale della Corte di Cassazione ha fatto alcune valutazioni sulle ipotesi investigative. E ha sottolineato (e anticipato, nonostante l’inchiesta affidata alla Gdf sia ancora in una fase embrionale) che gli episodi sono uniti da «unitaria programmazione, nell’ambito di un medesimo disegno criminoso».

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