Era destino che fosse notte per figli di papà: tre in maglietta (Chiesa, Weah, Thuram), uno solo in campo fin dall’inizio. Ma finora Marcus, che poi fa Thuram, finora è quello che se l’è passata meglio: anzi spassata. E quale ideale serata per godersi l’italian way della sua storia, partita 26 anni fa da Parma città goduriosa anche nel pallone.
Ieri sera è stato tutto un elencar di progetti davanti a maglie che hanno regalato magie alla carriera di papà, sotto gli occhi di Liliam che non manca mai a seguir il brillante danzare del figliolo.
Nel cuore chissà quali ricordi. Sul campo un ragazzo arrivato a Milano con cognome famoso e pedigree da valutare. E che, ora, sembra invece un domatore di felini. Lui felino dell’area dove ha infilato gol e pure assist.
Nelle luci e ombre di San Siro, Marcus ha acceso il suo faro come un navigante nel mare oscuro. Seguiva rotte consuete, il lavoro sulle fasce, ed altre dove ormai naviga con sicurezza: in mezzo all’area. Dapprima ha fatto venire i brividi a Bremer, un bel fustone a doppia mandata, che si è prodotto nell’intervento da far levar cappello pure a Thuram padre. Poi ha trovato la zampata del felino che fa sembrar di marmo l’altro felino che di cognome fa Gatti e che, bontà sua, è avvezzo ad autogol d’autore, seppur non gli siano mancati gol pesanti da tramandare ai posteri.
Bellissimo duello quello del Marcus contro i corazzieri bianconeri: tutto uno svolazzare di tenta e ritenta, progressione e velocità nello scappar via, una palla dopo 58 secondi per Mkhitaryan e il Gatti già in agguato a salvar la porta.
Chissà, ci fosse stato Liliam in difesa, se Marcus se la sarebbe vista così facile. Eppur la Juve sapeva bene che quel figlio di papà era da tener a sei occhi: aperti. A Torino fece sbarellare la zona difensiva sulla destra prima di servire l’assist- gol a Lautaro.
Ieri ha cambiato zona: prepotenza calcistica puntata da centravanti di razza autentica, quasi a mostrar arte al centravanti cileccoso dell’altra sponda.
Eppoi quel catch con il Gatti che, in inglese, sarebbe «catch con il cats» e racconta di un corpo a corpo dove il gol l’ha segnato l’altro ma gli abbracci sono andati tutti a lui. Poi certo qualcosa ha sbagliato, compresa l’uscita dal campo con un cartellino giallo come ricordo. Niente di male per un ragazzo oggi in maglia nerazzurra, che a Torino tifava Milan. Nemmeno quel bianconero colore avesse indispettito la sua storia di famiglia.
Ma tanto basta per un bambino che adorava Shevchenko e Crespo. Il gol come passione, questo è certo. E poco conta che stavolta sia stato per interposta persona. Verrà comunque ricordato.