Dal meteo non sembrerebbe, ma è Carnevale ovunque tranne che nella Serie A, dove si sono viste parecchie cose che hanno fatto andare su tutte le furie i tifosi più sfegatati. Cosa vi siete persi se eravate in altre faccende affaccendati? Parecchio: un derby d’Italia dove vince di misura la squadra che non ti aspetti, alcune rimonte in extremis, un’implosione sportiva spettacolare e un paio di giovani che hanno insegnato calcio a tutti. Il meglio e il peggio della Serie A lo ritrovate qui sotto, nel nostro pagellone del lunedì. Visto il periodo, cercheremo se non di farvi ridere, almeno di strapparvi un sorriso.
La Dea ha trovato il suo principe (8)
Si fa in fretta a dire che Gasperini è un tecnico capace di tutto, che dietro il miracolo di una provinciale che da anni impressiona il mondo del calcio c’è tanto lavoro, impegno e preparazione ma vedere l’effetto che fa il Gasp su certi giocatori è una roba impressionante. Quando al Gewiss Stadium è arrivata la Lazio di un allenatore certo non marginale come Sarri, forse solo i tifosi più trinariciuti si aspettavano il dominio assoluto che l’undici bergamasco ha mostrato per tutta la partita. Se Scalvini e Kolasinac hanno regalato a Carnesecchi 84 minuti di tutto riposo, Holm e De Roon fanno legna in quantità industriale sulle fasce ma la differenza la fanno tre giocatori che le grandi hanno rifiutato per poi pentirsene amaramente.
Mario Pasalic, arrivato con grandi aspettative al Milan, non è certo il massimo in quanto a continuità ma ringrazia Gasperini per il rientro da titolare con 79 minuti quasi perfetti ed un gran gol. Il russo Aleksey Miranchuk sembrava aver fallito sia a Bergamo che a Torino, tanto che Juric non ha fatto carte false per trattenerlo: sarà, ma quando mette ripartenze micidiali e regala palloni a profusione non sembra affatto male. La trasformazione più impressionante, però, è quella di Charles De Ketelaere: migliora di gara in gara ed è ora in controllo totale del gioco della Dea. Tanto impacciato era al Milan, quanto è ora devastante in quanto a sicurezza e fisicità. Ora che sta tornando a segnare come faceva a Bruges, qualcuno a Casa Milan si starà mangiando le mani. A ridere è il Gasp ed i fedelissimi della Dea, che ha trovato il suo principe azzurro.
La capolista se ne va? Forse (7)
A San Siro tutto era pronto per la sfida più sentita, il derby d’Italia, mai come quest’anno decisivo per i destini dello scudetto. 90 minuti e spiccioli dopo la spettacolare coreografia della Nord, possiamo già dire che il titolo è in tasca della Beneamata? Esagerazioni a parte, la prova messa dall’undici di Simone Inzaghi avrà fatto cadere in depressione chi sperava in un passo falso per rendere più interessante il girone di ritorno. Pur senza schiantare una Juventus sempre solida, i nerazzurri hanno giocato con la sicurezza di chi sa che, in un modo o nell’altro, i tre punti se li porterà a casa. D’altro canto, quando Sommer torna negli spogliatoi con i guantoni intonsi, come fai a non pensare che, alla fine, lo scudetto se lo cuciranno sulle maglie loro?
Nonostante il talismano Lautaro metta una delle partite meno impressionanti dell’anno, l’Inter va, trascinata da un Pavard in giornata di grazia, un Acerbi che annulla Vlahovic, il solito Calhanoglu che sfiora il gol dell’anno, la locomotiva Dimarco ed un Thuram che segna anche quando sbaglia. Insomma, nonostante il risultato questa non è stata una vittoria di quelle che piacciono al dirimpettaio Allegri. Se non fosse per due parate assurde di Szczesny e la sfortuna che insegue da anni Marko Arnautovic, il punteggio sarebbe stato ben più rotondo. Da qui a consegnare in anticipo il trofeo ai nerazzurri ce ne corre ma quando Inzaghi non sbaglia un cambio e la sua Inter regge con flemma olimpica anche quando la Juve prova a giocarsela sul serio, tutto sembra già scritto. Questo non vuol dire che le cose non possano cambiare, certo, ma ci credete davvero?
Fate tornare Soulé alla Juve (7)
Più che guardo il Frosinone, più che mi domando come sia possibile che una batteria di talenti del genere sia finita in Ciociaria. Con tutto il rispetto per i “canarini”, alcuni dei giocatori che giocano al Benito Stirpe meriterebbero ben altri palcoscenici. Tra la pattuglia sudamericana gentile cortesia della Vecchia Signora, anche il meno celebrato, Enzo Barrenechea, è in grado di alternare giocate clamorose a parecchio lavoro sporco: la punizione battuta al volo vale il 2-1 che fa precipitare nella disperazione i milanisti. Tanto Seck è esuberante ma un po’ egoista, quanto Luca Mazzitelli domina in lungo e in largo il centrocampo del Milan, cosa mai semplice. Eppure l’undici di Di Francesco esce dal campo con zero punti, grazie all’errore di Valeri che Jovic trasforma nel gol del 3-2.
Il tecnico del Frosinone non è propriamente Re Mida: Walid Cheddira è lontano parente di quello visto a Bari e lo stesso Kaio Jorge non riesce a scollarsi di dosso Kjaer e Gabbia, per non parlare di Lirola, che si fa scippare un pallone in maniera assurda sul 3-2. La cosa che grida vendetta al Cielo, però, è vedere Matias Soulé in provincia. Rispetto a quanto visto alla Continassa, i passi avanti sono enormi, ben oltre alle dieci reti segnate, obiettivo che ha raggiunto a febbraio. Non solo rimane gelido davanti ad uno come Maignan, ma regala un assist delizioso a Mazzitelli. Cosa deve fare per convincere Giuntoli a contattare Angelozzi e farlo tornare immediatamente alla base? Volendo il modo si trova: magari costerà un po’, ma ad Allegri servirebbe come il pane.
Montagne russe Napoli (5,5)
Scendere in campo all’ex San Paolo quando le cose non girano e la classifica piange è roba da far tremare i polsi anche a gente con centimetri di pelo sullo stomaco. Il fatto di ritrovarsi davanti una squadra che ha appena finito i saldi invernali avrebbe dovuto far recuperare un minimo di verve ai campioni d’Italia. Peccato che l’Hellas Verona non ne voglia sapere di rassegnarsi alla retrocessione e, dopo aver sofferto parecchio nel primo tempo, sfiori l’impresa nella ripresa. Mazzarri sperava in una giornata tranquilla e tutto nei primi 45 minuti lasciava presagire tre punti facili: Mario Rui e Kvara spadroneggiano sulla sinistra, Anguissa entra subito in partita nonostante abbia la Coppa d’Africa sulle gambe e la difesa si conferma solidissima.
Questo Napoli, però, se non si complica la vita non è contento: nonostante l’ottimo ingresso di Mazzocchi e Lindstrom, le folate dei padroni di casa s’infrangono su un monumentale Montipò. Baroni ritrova Coppola e Folorunsho in giornata di grazia e per poco non scippa un punto in trasferta. Visto che gli dei del calcio hanno un perverso senso dell’umorismo, la rimonta partenopea la inizia l’ex di giornata Cyril Ngonge. A mettere il sigillo e rianimare un Maradona sull’orlo di una crisi di nervi, l’eurogol di Kvaraskhelia, che alla fine riesce a vincere il duello col guardiameta scaligero. Tutto bene, quindi? Mica tanto: Simeone si smazza, aiuta i compagni ma sbaglia troppo, Politano evapora nella ripresa e ci vuole il colpo di genio del georgiano a risolvere tutto. Se tanto mi dà tanto, sotto il Vesuvio ci sarà ancora tanto da soffrire.
Chi di corto muso ferisce… (5,5)
La cosa più irritante del risultato del derby d’Italia, almeno per i tifosi bianconeri, è che nessuno si è sorpreso di quanto si è visto al Meazza. Fin dal fischio d’inizio, la Juventus sembrava giocare col solito piglio, quell’approccio molto allegriano che parte dall’immortale “primo non prenderle” per poi provare il furto con scasso in contropiede. Quella filosofia del “corto muso”, del massimo risultato col minimo sforzo e, possibilmente, zero rischi, stavolta si è ritorta contro alla Vecchia Signora, che nel primo tempo è stata presa a pallonate dall’Inter. Un’altra cosa frustrante è che, a parte la partita da dimenticare di Dusan Vlahovic, ancora pessimo a San Siro, la Juventus non avrebbe nemmeno giocato male. Se tutti di Gatti ricorderanno solo il pasticcio che è valso il gol decisivo, il difensore aveva fatto cose più che discrete sia in difesa che in avanti, incluso il destro dalla distanza che ha illuso per un secondo i tifosi bianconeri.
Nelle pagelle della partita avevo già scritto che senza le paratone di Szczesny il punteggio sarebbe stato ben più pesante, la solita prova solida di Bremer ha compensato le incertezze di Danilo e Cambiaso, mai in partita. McKennie e Kostic hanno combattuto come leoni al centrocampo, facendo quasi dimenticare che Locatelli e Rabiot non erano decisamente al meglio. Se Yildiz è costretto a cercarsi palloni a centrocampo e soffre quando c’è da fare a sportellate, Weah e Chiesa provano a dare la scossa ma s’infrangono contro la difesa nerazzurra. Il problema, forse, sta proprio qui: la Juve è sempre combattiva, tiene bene fisicamente, come si è visto nel secondo tempo. Spesso e volentieri basta per rimanere competitivi ma non è la panacea di tutti i mali. Quando la differenza di talento è troppa, il “corto muso” non funziona. Perdere per un autogol fa malissimo ma non tutto è da buttare. Senza le coppe, la Juve può ancora giocarsela. La maratona è ancora lunga.
Quanto soffre il pazzo Milan (5)
Dopo un pareggio in extremis rimediato in casa che ha fatto ulteriormente scappare le rivali, una grande squadra scende in campo col furore di chi vuol vendicare un torto subito. Cosa ti combina invece il Milan di Stefano Pioli? Soffre come un pazzo sul campo di un Frosinone che, oltre alle giocate dei suoi sudamericani, non molla mai. Di Francesco sembra ipnotizzare un Diavolo a volte troppo confusionario ed assesta un paio di mazzate mica da ridere. Quando anche il supereroe che il Milan ha tra i pali si fa passare il tiro di Mazzitelli sotto le gambe, i tifosi rossoneri erano già pronti a scatenare un putiferio sui social. Squadra inguardabile, senza attributi e chi più ne ha più ne metta. Proprio quando stavano per scattare i processi, Pioli trova ancora le mosse giuste e riesce a strappare tre punti preziosissimi.
A salvare la barca rossonera sono un talento che sembra rinato e un figliol prodigo dal quale, onestamente, nessuno si aspettava granché. Quando Matteo Gabbia schianta con rabbia il 2-2 su cortese invito di Olivier Giroud, i fedelissimi del Diavolo iniziano a vedere la luce alla fine del tunnel. Se il francese è da applausi a scena aperta, la zampata dei tre punti viene dal talismano Luka Jovic, che trasforma in oro l’unico pallone giocabile che ha a disposizione. Non tutto è tranquillo a Milanello: se Adli migliora nel finale, Bennacer prima si perde Mazzitelli poi torna la sicurezza di sempre. Tanto Pulisic ha le batterie scariche quanto Leao passa da un assist delizioso al patatrac del rigore: aggiungi un Loftus-Cheek che si accende a sprazzi e si spiegano i quasi 100 minuti di sofferenza che si sono subiti i tifosi del Milan. Alla fine arriva la vittoria e due punti in meno dalla Juve eppure mi sa che nessuno abbia voglia di sorridere.
Immobile non basta più (4,5)
Uscire con le ossa rotte da uno scontro con una rivale diretta per l’Europa che conta non è il massimo per una squadra ambiziosa ma immagino che, mentre rientrava a Roma, i pensieri di Maurizio Sarri siano virati inevitabilmente sul pessimismo cosmico. Le partite storte capitano a tutti, ma quello che si è visto in campo a Bergamo non è che il risultato di problemi che si trascinano da mesi nell’ambiente laziale. A guardar bene, nella rosa a disposizione si salvano davvero in pochi, da Provedel al solito Romagnoli fino al pugnace Matéo Guendouzi che si smazza come un pazzo per poi mollare nella ripresa e il ritrovato Pedro, che nel finale sale in cattedra.
La cosa però più preoccupante è che, di solito, quando Ciro Immobile è in palla, la Lazio almeno un punto riesce a portarlo in casa. Quando nel recupero l’azzurro sfiora la 200a rete in Serie A su un gran cross di Pedro qualcuno si immaginava la remuntada. Niente da fare: neanche San Ciro riesce a rianimare una Lazio che sembrava andare al rallentatore. D’altro canto, quando gran parte della squadra dà l’impressione di esser rimasta nello spogliatoio come vuoi che vada a finire? Se Castellanos non tocca palla, anche l’ottimo Isaksen viene annullato dalla difesa bergamasca: Luis Alberto prova a rifarsi con una delle sue punizioni ma sia lui che Felipe Anderson sono troppo nervosi per incidere. Tutto sbagliato, tutto da rifare. Se nemmeno Immobile è in grado di togliere le castagne dal fuoco, forse è il caso di iniziare a preoccuparsi.
L’harakiri della Viola (4)
Non ho avuto il coraggio di sentire i miei amici fiorentini dopo il finale visto al Via del Mare ma immagino che abbiano un diavolo per capello. Dopo aver perso in maniera abbastanza netta al Franchi contro l’Inter, nessuno si aspettava che l’undici di Italiano, che ha sempre giocato un ottimo calcio, tornasse nella città del Giglio con zero punti. Il bello è che, almeno fino agli ultimi minuti, sembrava che la Viola potesse prendersi tre punti preziosi che avrebbero tenuto vive le speranze di approdare a quella Champions League che a Firenze sognano da una vita. Se Terracciano fa le solite parate importanti, ogni volta che i salentini spingevano sull’acceleratore, la Fiorentina andava in confusione totale.
Quel Faraoni che sembrava una rivelazione soffre parecchio, Martinez Quarta e Milenkovic fanno pure peggio, come Ranieri e l’affidabile Biraghi. Italiano prova a rivedere la squadra all’intervallo ed azzecca la mossa Mandragora, che fa un gran gol ma viene tradito da due dei suoi pretoriani. Se Sottil è insolitamente abulico, Nico Gonzales sembra un fantasma in campo mentre il cambio tra un Bonaventura poco incisivo e il debuttante Andrea Belotti non dà i frutti sperati. Il Gallo si impegna come suo solito e prende pure una traversa ma gli manca la grinta mostrata da Lucas Beltran, evidentemente punto nell’orgoglio dall’arrivo dell’ex torinista. Il problema è che tra i viola manca la continuità: come fa Nzola a far seguire la buona prova con l’Inter con il disastro visto a Lecce? Se a Firenze le critiche abbondano sempre, ora mancano anche i risultati. Dopo un harakiri del genere, riprendersi non sarà facile.