“Perché si veste da comunista? Il primo incontro ad Arcore”

"Perché si veste da comunista? Il primo incontro ad Arcore"

Pubblichiamo un estratto del libro di Matteo Renzi «Palla al centro – la politica al tempo delle influencer», in cui il leader di Italia Viva ricorda i momenti salienti del suo rapporto con Silvio Berlusconi, a partire dal primo incontro del 2005 ai tempi in cui il Cavaliere era premier e lui a capo della Provincia. Poi, qualche anno dopo, il corteggiamento politico alla vigilia delle primarie Pd per le Comunali a Firenze. Infine l’invito a Villa San Martino, parlando di Firenze, di calcio e dei destini del Paese. Ho conosciuto Silvio Berlusconi a Firenze nel 2005. Lui era il capo del governo, io guidavo la Provincia. Il Cavaliere era stato costretto a fermarsi due ore nel palazzo del governo della mia città, la prefettura di Palazzo Medici Riccardi, immobile condiviso con la Provincia.

Erano momenti di duro scontro politico ma il prefetto mi aveva giustamente telefonato: «Presidente, perché non sale le scale e si viene a prendere un caffè qui da noi?». Tutto immaginavo meno che di incontrare Berlusconi e allora avevo indossato un abito in velluto marrone. Arrivo nel Salone Carlo VIII e Berlusconi non fa in tempo a stringermi la mano che già mi dice: «Ma come, tutti parlano bene di lei e si veste così da comunista? Ma lei non veniva dal marketing, scusi?». Iniziamo bene, penso. Ci salutiamo dopo una chiacchierata simpatica.

A distanza di qualche anno io sto lanciandomi nelle primarie del Partito democratico per le Comunali di Firenze. Tutti i sondaggi mi danno sconfitto. Berlusconi mi fa cercare da Denis Verdini che allora conoscevo solo di nome: «Oh, il mio capo si è innamorato di te. Però tranquillo, è innamoramento solo politico. Come forse sai, gli garbano le donne». Sì, diciamo, si era intuito. Ma al di là dei gusti sessuali del Cavaliere spiego a Verdini di farsi latore di un messaggio: io sono cresciuto nel Pd e sogno la svolta blairiana e clintoniana. Non passo il Rubicone, non vado dall’altra parte. Siamo nel 2008, Berlusconi è al massimo della sua forza. Potete immaginare gli argomenti molto convincenti che Denis usa. Ma non se ne parla proprio. Tanto che una volta Berlusconi disse: «Le porte di Forza Italia per Renzi sono sempre aperte». E la mia risposta fu scanzonata: «Chiudile, presidente, non vorrei che entrasse troppo freddo».

Il fatto è che io ho sempre cercato di mantenere un buon rapporto per rendere più civile e gentile il confronto politico, non per cambiare casacca. I tanti che mi criticano ignorano quanta forza ci voglia a dire «no, grazie» a colui che in quel momento è l’uomo più importante d’Italia. Ma io non ho dubbi perché ho sempre considerato la politica come una sfida ideale. Che ha bisogno di scelte tattiche e di strategie raffinate, ma si muove sempre nell’ambito di una cornice di valori. Non a caso mi candido alle primarie, le vinco a sorpresa, divento il sindaco della mia città.

Rivedo un sorridente Berlusconi all’inaugurazione del Frecciarossa Salerno-Milano. I sindaci del Pd non sono tanti ma sono capitanati da una brillante promessa; non sono io, si capisce, ma Enzo De Luca, allora stimatissimo sindaco di Salerno. Berlusconi è incontenibile: Mauro Moretti, l’amministratore delegato di FS, fatica ad arginarlo. Mi vede, mi dà del tu e mi dice: «Vieni a trovarmi, che facciamo due chiacchiere». Penso che lo dica a tutti. Passerà del tempo – quasi un anno – ma alla fine la segreteria del presidente mi chiama a Palazzo Vecchio: «Lei verrebbe ad Arcore lunedì?». Ma certo.

L’incontro è incredibile. Sto tre ore con lui, insieme anche a Enrico Marinelli, un amico fiorentino che ci ha lasciato troppo presto, e poi restiamo a pranzo con i figli più giovani. Io ho un obiettivo: ottenere per Firenze le stesse condizioni che ha Roma sulla tassa di soggiorno. Mi sembra ingiusto che l’amministrazione di Alemanno ottenga qualcosa in più rispetto alla nostra solo perché la nostra parte politica è all’opposizione a Roma. Discutiamo di tutto, a cominciare da Max Allegri che Berlusconi contesta pur essendo l’allenatore che ha riportato il Milan in vetta al campionato (e quell’anno alla vittoria dello scudetto). La figlia Barbara, che allora si occupa del Milan, prova a difenderlo. Io intervengo pensando di sdrammatizzare: «Presidente, ma dai. Allegri è bravo e non è neanche un comunista» e lui risponde con una battuta strepitosa: «No, non è comunista.

Però è di Livorno, che è quasi peggio». I tifosi del Livorno, impagabili, erano andati alla prima trasferta di serie A a San Siro tutti con la bandana in testa dopo l’estate in cui Berlusconi aveva fatto il trapianto e per nasconderlo ai giornalisti si era messo la bandana a Porto Rotondo con Tony e Cherie Blair. Mi ha sempre colpito, di quell’incontro, il fatto che Berlusconi volle fare il pranzo insieme anche ai figli più giovani, con i quali credo l’appuntamento del lunedì fosse un rituale fisso. L’ho detto in Senato ricordandolo: puoi avere tutte le ricchezze che vuoi, puoi ottenere tutti i successi che vuoi, puoi vincere tutte le sfide che vuoi: il più grande lusso della vita – come diceva Saint-Exupéry – è la qualità delle relazioni umane. E niente supera il rapporto coi figli, nel bene e nel male.

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